Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film
L’impossibilità di arrivare significa essere eternamente in viaggio, eppure costantemente fermi. In questo film la metropoli, più che una giungla, è una melma acquosa, in cui, mentre ci si impantana, si continua a guardare la propria immagine riflessa, invariabilmente grigia e inespressiva. L’avventura dei tanti personaggi-sosia, tutti di nome Frank, che attraversano Helsinki nel vano tentativo di raggiungere un eldorado chiamato Eira, è la storia-simbolo di un’umanità che si consuma collettivamente nella fuga verso l’utopia: ogni individuo inciampa e cade a suo modo, ma il fallimento è il destino comune di tutti. L’orizzonte, più che lontano, è impenetrabile; è il vetro antiproiettili che lascia trasparire il sogno che non c’è, e che pure ognuno cerca ad ogni costo di sfondare, finendo per autodistruggersi. La città, metafora della vita, è un labirinto fatto per sviare; le sue strade conducono al nulla, e i suoi locali sono micidiali trappole; all’aperto, come al chiuso, ci si sente sempre e comunque fuori dal mondo, emarginati da una felicità invisibile, che resta perennemente nascosta dietro gli angoli ed al di là dei muri. Non c’è verso di acchiapparla, né rimanendo in attesa di vederla passare, né mettendosi a correre per inseguirla: la passività e l’attivismo sono solo le due opposte vie della inesorabile frustrazione esistenziale. Calamari Union è il blues dei traguardi irrealizzabili, il cui ritmo si muove con poetica armonia, però non conosce alcuna evoluzione.
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