Regia di Pippo Mezzapesa vedi scheda film
Pinuccio Lovero ha un sogno: diventare il custode del cimitero di Bitonto, la sua città. Quando nell'aprile del 2007, all'età di 40 anni, gli viene offerta l'opportunità di ricoprire temporaneamente il ruolo in quello della frazione di Mariotto, la località dove vive da sempre, non se la lascia sfuggire, concependola come una palestra in vista di una successiva ed auspicata promozione. Il suo entusiasmo è però mitigato da una singolare contingenza: giunto al quinto mese di lavoro, non ha ancora potuto indossare la "divisa di gala" richiesta per l'accoglimento delle salme, perché dal giorno del suo insediamento nessuno a Mariotto è più riuscito a morire. Nel frattempo si dedica all'ordinaria amministrazione (dare l'acqua ai fiori, sostituire i lumini, curare il giardino) e a scavare nuove fosse in attesa del grande evento. Così, mentre lui si augura che l'agosto torrido ammazzi finalmente qualcuno, gli anziani lo considerano un amuleto e fanno a gara per toccarlo, e gli addetti ai servizi funerari ed i fiorai lo detestano addebitandogli la loro recente sfortuna.
Pinuccio Lovero esiste davvero, e in questo curioso documentario, esordio sulla lunga distanza di Pippo Mezzapesa presentato a Venezia 2008, accetta con semplicità ed incoscienza la sfida di lasciarsi filmare, aprendosi alle telecamere con disarmante naturalezza e rivelando da subito l'assoluta trasparenza del suo modo di essere. Appassionato fin da bambino di tutto ciò che gira intorno al percorso terreno che ogni corpo umano fa dopo la morte, inizia presto l'attività di marmista costruendo lapidi, ed intanto le prova tutte per mettersi in mostra e guadagnarsi il posto che da sempre sente come suo: così offre quotidianamente il proprio aiuto ai custodi cimiteriali della città, si impegna (invano, affiggendo manifesti e distribuendo volantini) affinché vengano eletti al comune lasciando di conseguenza spazio a lui, ed arriva anche a scrivere ad Antonella Clerici, sperando che una comparsata in tv nel programma Il Treno dei Desideri possa aprirgli finalmente le porte del camposanto, ma senza ottenere risposta.
Il regista, dal canto suo, mostra attenzione per i volti, gli ambienti, i particolari, e, muovendosi in un'atmosfera sospesa quasi surreale e morbidamente grottesca, si accosta all'esistenza placida di questo ragazzone con il giusto rispetto, gli consegna la ribalta alternando i commenti benevoli dei suoi compaesani (dal sindaco al parroco) ai suoi monologhi sgrammaticati (improvvisati in un dialetto irresistibile), e confeziona il ritratto affettuoso e a tutto tondo del figlio purissimo di una terra povera ma viva, cresciuto nel solco della tradizione e suscettibile a superstizioni e credenze popolari, un becchino per vocazione, meraviglioso nel suo essere autentico, genuino, trasparente, un uomo che per l'ingenuità e l'innocenza dei propri pensieri può passare a prima vista per un pazzo scatenato, ma che, a ben guardare, è a modo suo un sognatore, un animo puro, un solitario che dà del tu alla morte ed aspira a farne il mestiere della vita.
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