Regia di Alain Resnais vedi scheda film
Ma a me verrebbe da dire: "L'erba cattiva non muore mai".
Niente battutacce, quell'erba là pare scientificamente provato che abbia proprietà terapeutiche quindi non è di quella che stò parlando. Anche se, il 90enne Resnais, secondo me un po' se n'è fumata prima (e durante) di portare a compimento l'opera. Non è lesa maestà, è solo uniformare il tono della recensione a quello del film: leggero e dalla fumosa (sempre quell'erba!) finalità. Ma ritorniamo ai ciuffetti verdi, quelli che si insinuano tra le pieghe dell'asfalto e lo sollevano, così da aggiungere pericolo all'imperizia, alla distrazione, alla colpevole noncuranza umana. Quelli che crescono nell'orto e bisogna strappare, prima che non si mangino l'insalata, oppure non si mangi noi loro al posto dell'insalata! (ed il sapore non è proprio lo stesso, provare per credere!). Dobbbiamo dirlo, per onestà mentale: pure quest'erba ha il diritto di vivere, che cavoli! Certo che ce l'ha! Il suo mondo un campo incolto, dove pascolino tranquille mucche e pecore. Se proprio proprio, un campo altrui. Non nel nostro giardino, parbleu! Non tra il nostro basilico e la nostra salvia. E, se proprio ci capita di ritrovarle fra pomodori e fragole, succhiando l'acqua dal terreno e sgomitando per prendere a sé l'ultimo raggio di sole, cosa di più naturale se non una esclamazione o gesto di stizza? Magari ripensando alla fatica della vangatura, della concimazione, della semina, di quel misero metro quadrato che a noi uomini e donne di città (o di montagna, o di provincia) pare un campo sterminato! Certo, il vilucchio, come la veronica (non la vicina di casa sexi di mio cugino Ale, parliamo sempre di erba!), produce un fiore grazioso, bianco e rotondo. E che dire del cardo, simbolo della Scozia, con il quale, pare, si cucini pure una minestra? Il papavero una pianta infestante? Veramente? Qualcuno l'ha spiegato a Monet quando dipinse il suo famoso quadro? Come può essere considerato noioso, questo fiore altezzoso ed indomito che ingentilisce anche il guard- rail più metallico del mondo? Lo ammetto: possono essere belle, queste erbe. Utili persino. Sì, potremmo amarle. Persino sceglierle, raccogliendone un mazzo per abbellire la nostra tavola, abitualmente arida e spoglia. Però, un attimo di consapevole riflessione, guardandole crescere e rafforzarsi fra le melanzane ed il vialetto di casa, almeno quella ci vorrebbe. Con sincerità, consapevoli della fine precoce della pianta di zucchine e del dissesto del muro di cinta. Perchè tutte le erbette hanno una loro dignità, tutte hanno diritto ad un posto nel mondo. E' un ragionamento senza capo né collo? Sì, e me ne vanto! Alllineato al film in questione, malauguratamente tradotto in italiano "Gli amori folli". Tale opera, tale recensione. Dente per dente, erba per erba.
Dunque, dunque ... "Les herbes folles" sono i personaggi (tutti) di questo lungometraggio francese. Esercizio di stile, esibizione di talento e competenza (soprattutto nel movimento della macchina da presa, nelle scelte originali di inquadratura, nella direzione degli attori, tutti fidatissimi e devoti alla causa), pure godibile a tratti brevissimi. Ma, di cui non si riesce a scorgere neppure sulla linea dell'orizzonte più lontano, necessità e finalità.
Una bella signora matura si reca nel costoso negozio parigino di fiducia per l''acquisto superfluo di un ennesimo paio di scarpe. Dopo aver provato tutti i modelli della boutique, sceglie una sensuale decolleté rossa, tacco 8. Soddisfatta dell'acquisto cammina sotto dei portici, dove, malauguratamente, è vittima di uno scippo. Immobilizzata dalla sorpresa, non riesce a far altro che ritornare al negozio, rendere le scarpe e ottenerne in cambio il contante per ritornare a casa.
Georges è un pensionato depresso ed insicuro. Nel tempo libero a disposizione (tutto, non lavorando. Almeno, nel film non lo si vede lavorare) oltre a risistemare saltuariamente casa, gira a zonzo. E' proprio nel parcheggio di un centro commerciale che ritrova, vicino alla gomma della macchina, un portafoglio. Senza soldi ma con tutti i documenti. Quelli di Marguerite Muir, la signora delle scarpe. Comincia a fantasticare sulla donna (che ha un brevetto da pilota, ed il volo è sempre stata una grande passione di Georges), vorrebbe conoscerla, simula un contatto telefonico, è ansioso di renderle quanto perduto (in realtà rubato). Dopo mille inutili tentennamenti si reca alla polizia, dove è accolto a braccia aperte da un paziente e comprensivo tutore della legge, il quale, meglio di uno psicologo, interpreta il disagio dell’uomo e lo convince finalmente a restituire l’oggetto in questione. Il portafoglio, è ormai chiaro allo spettatore, è caricato di mille sospiri ed aspettative da parte di Georges. Su tutte, quella di una “scossa” alla sua vita monotona: una bella moglie, una bella casa, i figli. Passa qualche giorno e Marguerite contatta l’uomo per ringraziarlo. E così, ha inizio una “rincorsa”/balletto avanti ed indietro che include passi quali: taglio delle gomme da parte di lui perché lei non vuole vederlo; quasi denuncia di lei; moglie smaniosa di scaricare il marito noioso su qualche altra donna (come a dire: “Per fortuna che mi tradisce, così non mi rompe!”); effusioni spinte davanti a casa fra Georges ed una amica di Marguerite mai vista prima, con reunion gioviale tra: lui, la moglie, la potenziale amante e l’amica della potenziale amante (con cui però c’è stato già uno scambio di lingua + palpatina, in amicizia); sospiri e struggimenti della potenziale amante davanti alla supposta indifferenza di un uomo che, da inetto, diviene uno sciupa-femmine in un batter di ciglia (per fortuna, con il mascara. Imprescindibile per una donna. Pare). La fine? Voilà! Bacio e caschè!
Alain Resnais mette in scena il suo desiderio. Libertà e leggerezza? No, no, proprio no. Con sincerità e consapevolezza, io direi: moderno egoismo. Su cui, francamente, non mi pare ci sia da stare così allegri (se non ‘chè, ci si sia fumati un po’ di erba sopra citata, ed allora i muscoli si rilassano, anche quelli del cervello).
Tutti i personaggi si muovono nell’indifferenza più totale dell’altro: senza passioni, senza sentimenti profondi, la spinta univoca è la noia. IE l'appagamento immediato delle proprie necessità, nella autoconvinzione che combacino con quelle altrui.
Immancabile la citazione di Flaubert: sempre appropriato, quando si disquisisce sul nulla.
Tecnicamente è un buon prodotto, ma il tono non collima con il contenuto; oppure il messaggio insito nel contenuto è fraintendibile. Da qualunque lato lo si guardi: del tutto gratuito. Colpevole, come sempre, il regista!
Purtroppo non ho mai avuto l’occasione (o mai voluto) di validare le proprietà della vera erbetta folle a cui il lettore più smaliziato ha immediatamente pensato. Ci spero sempre, comunque, chissà mai in futuro … La finta erba folle, invece, ogni tanto cresce fra i pomodori del mio orto (alla cui preparazione partecipo assai poco viste le mie scarse qualità di contadina). Se è gramigna, la strappo. Ma ai bordi, vicino al muro del vicino, l’altra primavera sono cresciuti dei papaveri. Tanto belli quanto delicati. Ho sperato restassero lì per sempre, solo, sacrificando qualche pomodoro di confine (perché un sacrificio è necessario, sempre. Tanto più duro quanto direttamente non nostro). Ho cercato di curarli pure, innaffiandoli con delicatezza per non rovinare i petali. La calura estiva li ha fiaccati, uno scroscio improvviso spazzati via. Ma io spero tanto che ritornino, il prossimo anno, e poi ancora, che si ricordino del mio orto e di me.
In conclusione, consigliato a chi ama i film sub-reali. Se quelli surreali stanno sopra la realtà, quelli sub-reali stanno sotto la realtà. Proprio sotto, sempre più sotto …
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta