Regia di David Fincher vedi scheda film
Un uomo perde il proprio figlio nella grande guerra e allora costruisce un orologio che va all’indietro, nell’illusoria speranza che il rewind del tempo restituisca a tutti i cari perduti.
Ma il tempo che corre all’indietro può essere panacea per alcuni e maledizione per altri. E’ il caso di Benjamin Button che nasce bambino col corpo di un vecchio. Il genitore, inorridito, lo abbandona in un ospizio dove un’assistente di buon cuore lo adotterà.
Il tempo passa e il corpo di Benjamin ringiovanisce; la costruzione interiore della persona invece segue il corso naturale per cui all’inizio avremo un vecchio che guarda il modo con gli occhi di un ragazzino e alla fine un bambino affetto da demenza senile. In mezzo l’esperienza di vita, abbastanza ordinaria, di Benjamin Button. Il tutto è visto in chiave favolistica, girato con colori autunnali e ben interpretato, quel che mi sfugge è cosa volesse trasmetterci Fincher.
In fondo Benjamin è un diverso e il film avrebbe potuto essere l’elegia del diverso, invece Benjamin sembra quasi non soffrire della sua condizione e il modo che gli ruota intorno, a parte i più intimi, neppure si accorgono della sua peculiarità. Quindi che significa, non ci si accorge di della diversità di Benjamin perché il mondo è miope o perché è evoluto? Forse sono interrogativi che Fincher neppure voleva sollevare. Se è così mi pare un’occasione perduta, se non è così mi sembra un film irrisolto.
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