Regia di Oliver Stone vedi scheda film
Dopo il recente lancio di scarpe, l’ultimo lavoro di Oliver Stone potrebbe apparire a George Bush come una carineria nei suoi confronti, quasi un omaggio di fine mandato (e carriera). In realtà W. – che nella garbata Italia, sempre attenta a non offendere compagni di merende e di potere, non vedrà la luce nelle sale, fatta salva qualche eccezione - è un impietoso j’accuse nei confronti dell’(ormai ex) uomo più potente del mondo ma anche di chi quell’elezione con tanto di bis – nel caso qualcuno non ne avesse avuto abbastanza – l’ha permessa e sostenuta. E d’altra parte non avrebbe potuto fare altrimenti quello che viene considerato il cineasta più nazionalista e allo stesso tempo più antiamericano che gli States abbiano sfornato, capace com’è di orchestrare ogni volta un ritratto della madrepatria tanto appassionato quanto intransigente. E se ormai i suoi connazionali sembrano aver eletto a sport nazionale il prender le distanze da un presidente incapace di andar oltre gli istinti pavloviani, c’è da riconoscere a Stone come la sua ultima pellicola prenda forma da uno studio iniziato oltre sei anni fa e che ha coinvolto oltre a Bush, tutto il suo entourage. Ne è uscito un affresco vero ma inverosimile (è lo stesso regista a ripeterlo) che restituisce un uomo vittima e nello stesso tempo responsabile di complessi di inferiorità nei confronti del padre e del fratello, l’effettiva molla che l’ha catapultato nello Studio Ovale. E proprio in questa direzione sembra andare il monologo che un a dir poco imbarazzante George W. Bush recita, costringendo lui e i suoi connazionali altrettanto responsabili con le spalle al muro, grazie anche a una mdp che gli sta addosso senza lasciare aria attorno. Quasi che non ci fossero vie d’uscita, fattori esterni che fungano da attenuanti (in questo senso il cerchio si chiude): un’ammissione di colpa senza se e senza ma. Da qui il punto del titolo. Si ride (tanto), per non piangere (ancora di più) mentre ci si chiede come abbiano potuto gli americani. Ma, pensandoci bene, il desiderio di vedere al potere qualcuno che ci assomiglia più per i vizi che per le virtù è consolatorio non solo dall’altra parte dell’Oceano.
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