Regia di Matt Tyrnauer vedi scheda film
Un affresco felliniano per celebrare il genio rinascimentale di Valentino, l’ultimo, vero couturier italiano; un classicista, laddove Armani è un modernista e Versace un postmoderno. Cronaca di una celebrazione, l’evento nel 2007 all’Ara Pacis Augustea e al Colosseo, oltre che di un passaggio epocale: il cambio d’insegne dell’impero Valentino. La ricca bottega patrizia diventa (infine) una holding internazionale. Il nome resta, la mano no. Divisione del lavoro. Calata nel lusso più ricercato, l’esistenza pubblica di Valentino Garavani è paradossalmente all’insegna di una sobrietà e discrezione esemplare. È segno di una grande disponibilità l’aver permesso al regista di conservare scoppi d’ira diretti alla macchina da presa e momenti di sconcertante tenerezza riservati a Giancarlo Giammetti. Senza veli dietro le quinte: isterie e lacrime, ma anche una modella che legge Einstein’s Unfinished Symphony di Marcia Bartusiak. Tyrnauer rivela Valentino nei recessi più intimi del processo creativo. Lui traccia forme precise sulla carta: le sarte eseguono alla lettera le indicazioni del Maestro. Proprio come nelle grandi botteghe artigiane del Rinascimento. Valentino ricorda Lana Turner, Judy Garland, Hedy Lamarr. Il suo è l’ideale della bellezza assoluta. Utopia da indossare. Tutto il resto sono stracci.
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