Regia di Koji Wakamatsu vedi scheda film
Il rapporto tra i due protagonisti, una coppia di cognati, non nasce come una complicità carnale, bensì come un sodalizio labile, costruito a forza, che cerca di superare il dualismo tra il peso primordiale e irrimediabile della colpa, incarnato da lei, Yuri, ed il concetto razionale e flessibile della responsabilità, che lui, Shihei, pensa di manipolare a proprio uso e consumo, con i meccanismi tipici del confronto dialettico. Lui, reduce dalle rivolte studentesche, è portatore di una progettualità lucida e coerente, che guarda avanti verso il cambiamento, mentre lei rimane prigioniera del senso insopprimibile del ricordo, ed i suoi sogni non sono altro che i prodotti postumi del rimpianto. Soltanto la disperazione e l'allontanamento dal mondo potranno far vivere una relazione fatta di puro amore, e altrimenti impossibile, perché irragionevole e illogica, prima ancora che illecita, contraria in tutto e per tutto alle consolidate regole della società umana. Il ritorno, non a caso, si rivelerà fatale.
Il film ripropone un ingrediente tipico del cinema di Wakamatsu, ossia la violenza e la sessualità trasgressiva consumate negli spazi angusti di un'intimità violata, come sfogo di un'energia giovane e ribelle, vitale e ideologica, che è stata repressa, e che attinge sempre alla sfera degli istinti primitivi, travalicando i confini dei sentimenti dichiarati e riconosciuti. Il binomio tra carnalità e rivoluzione, evocato dal titolo, è quello che contrappone Shihei al fratello poliziotto, oltre che marito di Yuri; e sullo stesso è anche basata la cornice del film: se il prologo è la fuga di Shihei dai manganelli delle squadre antisommossa, l'epilogo è il suo solitario ripiegamento da amante sconfitto.
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