È stato uno dei registi che più ho amato e dunque, anche di fronte ad un'opera non pienamente riuscita come questa, manterrò comunque alto il suo vessillo.
Presentato a Venezia nel 2001, venne distribuito in Italia sette anni dopo, un vero record negativo per questa pellicola ambientata in un'epoca confusa e derelitta, agli albori del Terzo Reich, dove grandi e tragici avvenimenti si stavano preparando e dove la violenza, ancora lei!, la farà al solito da padrona e poi nulla sarà più come prima.
Su questo inquietante palcoscenico s'incontrano e si scontrano due diversi personaggi, realmente esistiti, complementari tra loro e con nel mezzo la bella di turno, pianista classica; un forzuto giovane ebreo, novello Sansone, ed un finto nobile danese, tipico personaggio herzoghiano questo, interpretato da un ottimo Tim Roth, principe delle tenebre occulte, qui imparentate con quel nazismo nibelungo, magico-esoterico, di cui molto è stato nascosto e che da sempre ha accompagnato zio Adolfo & Co., come anche Giorgio Galli avrebbe potuto ben testimoniarci.
Le superbe ambientazioni, dagli shtetl polacco orientali coi loro mercati fatti di vita miseranda (non per niente Herzog era tornato dopo dieci anni a girare un film dopo un'interessante vita documentaria), alla Berlino über alles d'impronta modernista, meriterebbero un discorso a parte ma anche se i lampi visionari del Nostro rimangono come recalcitranti, giù nella fondina, stan però sempre lì, pronti a sparare al minimo accenno, e ben li s'intravede tra un passaggio e l'altro del film.
Eppure qualcosa non ha comunque funzionato al di là del finalino messianico in cui le parti si capovolgono, ma ce ne faremo ben presto una ragione e se non saranno le moltitudini di granchi rossi a salvarci, riandremo a ritroso col pensiero, verso quella prolungata, terribile, carrellata circolare su di una zattera ormai alla deriva, completamente invasa da piccole scimmie saltellanti e col nostro Aguirre definitivamente perso nel proprio delirio, Prosit.
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