Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
E’ quasi un decennio che l’opera di Kitano diserta completamente i grandi schermi italiani, ed e’ relegata, quando siamo fortunati, ad una frettolosa uscita in dvd o ad apparizioni sporadiche e ad ore proibitive in qualche canale un po’ piu’ lungimirante della media.
Achille e’ l’ultimo film di una ideale trilogia sull’ispirazione, sulla mancanza di creativita’, sulle insicurezze dell’animo umano ed e’ a mio avviso il migliore dei tre per complessita’ di narrazione, ironia e comicita’ che vede nella parte finale un Kitano protagonista di bizzarri tentativi per incentivare la tecnica e la produzione artistica verso forme piu’ complesse e meno puerili di quelle in suo possesso. La comicita’ dolente e muta, sofisticata e subita del protagonista ormai maturo, avvicinano il grande autore giapponese allo stile dei grandi capostipiti del genere, Keaton in testa.
Il giovane figlio di un grande imprenditore tessile e banchiere, manifesta fin da piccolo una certa propensioni (o quantomeno ossessione) per la pittura (assecondate fin troppo calorosamente da chi lo circonda). Il mondo dorato in cui vive e’ destinato a svanire in seguito al suicidio del padre e della sua gesha (forse pure madre naturale del piccolo) in seguito ad una rovinosa bancarotta. La madre si vede costretta a lasciarlo al rude fratello povero del marito in una vecchia fattoria dove viene trattato come sguattero. Tuttavia la sua passione maniacale per la pittura (al di la' degli effettivi puerili risultati) non si assopiranno tanto da convincere pure il rude zio a incentivare questa passione per trarne profitto.
In seguito ritroviamo l’artista ormai uomo maturo, in crisi creativa, cercare con tutti i mezzi di trovare quella ispirazione e quella tecnica che la moderna e discutibile critica artistica pretende dagli artisti contemporanei.
Duro e ironico monito ad un mondo dove arte e “imbrattamento” si sfiorano, anzi si scontrano senza piu’ distinguersi una dall’altra, il film ci regala nella prima parte, piu’ classica e narrativa, momenti ed inquadrature che sono insieme poesia e scorci pittorici di rara finezza e magia. Il titolo fa riferimento ad un quesito che un maestro dell'antica Grecia pone ad un suo alunno, la cui risposta non e' poi cosi' scontata e che sta a dimostrare che spesso le cose vanno al di la' di ogni piu' evidente previsione o probabilita'.
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