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Achille e la tartaruga

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Achille e la tartaruga

di Auguste
8 stelle

Un Kitano che non delude, davvero eccezionale, sicuramente tra i suoi migliori film in assoluto, il che è tutto dire(anche se a mio avviso "Dolls", "Hana-Bi" e "L'Estate di Kikujiro" restano superiori).
Molto tragico nella prima parte, il film mostra - ribaltando la tesi ultima di "Scarpette Rosse"(da cui pur sempre si parte: si può morire per l'arte?) - cosa sia l'ossessione per l'arte, quanto difficoltosa sia la ricerca dell'espressione artistica e ancor più farsi comprendere dagli altri, universalizzare cioè la propria arte.
In fondo tutti siamo artisti - chi più e chi meno(è solo una questione di esternare il proprio mondo interiore) - e riusciamo ad esprimere la nostra spiritualità tramite il mezzo chiamato "arte". Il problema è relazionare la nostra intimità artistica a quella altrui, rendere l'arte universale... è questo il dilemma dell'arte.
La ricerca disperata dell'arte da parte del protagonista lo condurrà sempre più nel baratro oscuro dell'alienazione. Appunto: si può morire per l'arte?
La morte dell'artista è la morte di colui che sacrifica se stesso, la propria vita, i propri cari ad un qualcosa di superiore, ad una causa quasi "sacra".
L'artista così inteso non è differente da quelli che nelle religioni vengono definiti santi(beninteso, onde evitare accuse di misticismo, ci tengo a precisare che non sono religioso, eh...): in comune vi è la volontà di sacrificare il proprio ego, la propria persona per qualcosa di trascendente.
L'arte come la religione è qualcosa di superiore e spesso le due cose sono infatti unite, vedere Andrej Rublev, per esempio.
Ma Kitano che risposta da a questo dilemma?
Alla fine, la risposta di Kitano è che l'arte, in fondo, è solo all'apparenza una buona causa per morire, ma alla fine è vuota, non ha valore di per sé. L'arte ha ispirato grandi uomini nel passato, è stata una buona causa per lottare e superare se stessi, sì... ma alla fine cosa si rivela essere?
Un pugno di mosche. L'amore è ciò che conta, non l'arte. L'arte ha valore soltanto nel momento in cui non diviene fine a se stessa(art for art's sake).
L'arte non ci da nulla, anzi porta ad annullare noi stessi e non sempre è una cosa positiva. A contare sono innanzitutto i nostri sentimenti, la ricerca dell'assoluto non porta a nulla, in fondo, se non a negare la nostra intimità.
Dunque si può leggere il finale in chiave molto semplice: Achille raggiunge la tartaruga quando comprende che il valore dell'arte esiste solo fintantoché c'è qualcuno a cui dedicarla, è l'amore, sono gli affetti ad impreziosire l'arte.
Il perseguimento dell'arte può divenire una semplice ossessione e nulla ci ritroviamo vivendo solo per essa.
Ma con qualcuno che ci ama al nostro fianco - solo allora - l'Arte diventa preziosa.
La condivisibilità della tesi è arbitraria, certo, ma la commozione e la sincerità di Kitano è lodevole e non posso non premiarla.
Io almeno così ho letto il film, che è a mio avviso anche fortmente autobiografico. Kitano eccellente.

Su Takeshi Kitano

Beh, Kitano è Kitano, sempre e comunque!

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