Regia di Uli Edel vedi scheda film
Bernd Eichinger è un produttore anomalo. Nel suo curriculum figurano sia opere di registi radicali come Hans Jürgen Syberberg (Hitler. Un film dalla Germania) che la trilogia Resident Evil. La Banda Baader Meinhof nasce dalla volontà di Eichinger di confrontarsi con la storia della RAF (Rote Armee Fraktion) muovendosi lungo le coordinate del libro Der Baader Meinhof Komplex di Stefan Aust che ha collaborato anche in qualità di consulente al progetto. Quindi non “la” storia della RAF, ma la messinscena di un libro che la rievoca. Faccenda cruciale, questa, perché molto del dibattere riguarda proprio la questione del presunto suicidio di Ulrike Meinhof, Andreas Baader, Gudrun Ensslin, Horst Mahler, la morte di Holger Meins, lo scarso rilievo offerto al ruolo della DDR e le sevizie subite in carcere dai militanti. Eichinger sposa il punto di vista di Aust, pone la vicenda della RAF in una prospettiva storica che inizia con la visita dello shah iraniano Reza Pahlavi nella BRD, passando attraverso l’attentato al militante anarchico Dutschke e le manifestazioni contro la guerra in Vietnam. In questo senso il film è un oggetto impensabile in Italia. Né revisionista né apologetico, narra, nella prima parte, l’ascesa della RAF con il ritmo di un action movie che avrebbe potuto girare Costa-Gavras negli anni 70. Nella seconda, che illustra la detenzione dei fondatori della RAF mentre fuori sorge la seconda e terza generazione di militanti, il film diventa un assedio claustrofobico. Potrebbe quindi irritare la spregiudicatezza spettacolare del film ma, considerato che in Italia, a parte le geniali “incursioni poetiche” di Marco Bellocchio, non si è prodotto nulla sulle vicende di casa nostra che non avesse già incorporato il proprio orientamento ideologico-politico, La Banda Baader Meinhof risulta un’operazione appassionante che mette in campo due schieramenti che si dichiarano guerra e li segue sino alle estreme conseguenze. A suo modo una lezione di indipendenza.
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