Regia di Uli Edel vedi scheda film
Film nettamente diviso in due parti: prima l’onda lunga del ’68, le proteste di piazza contro la politica americana in Vietnam e in Medio Oriente, le brutali repressioni poliziesche, l’ingresso in clandestinità, l’escalation di attentati; poi la lunga detenzione, il processo, la morte misteriosa dei componenti della banda, mentre fuori le giovani generazioni continuano una lotta sempre più insensata. Due metà esteticamente diverse ma entrambe ben raccontate, con modalità robustamente di genere (prima un western metropolitano, poi un dramma carcerario) e un montaggio serrato che non lascia tregua. Meno subdolamente apologetico e più onesto di Anni di piombo, è un film che delinea un ritratto a tutto tondo dei protagonisti: all’inizio idealisti, ma anche egocentrici e a modo loro edonisti, infine prigionieri delle loro paranoie. Sull’altra sponda c’è il superpoliziotto Bruno Ganz, che serve fedelmente lo stato ma comprende che la battaglia va vinta sul piano politico, eliminando le ingiustizie. Senza sconti, senza revisionismi inopportuni, si mostra chiaramente che alla base di quella tragedia umana che è stato il terrorismo c’era un anelito verso l’utopia che è difficile non condividere: in quest’ottica si può accettare anche Bob Dylan che canta Blowin’ in the wind sui titoli di coda, e che altrimenti potrebbe sembrare solo un modo banale per ingentilire la crudezza della vicenda.
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