Regia di Uli Edel vedi scheda film
Film rabbioso, ma artisticamente debole, che rappresenta il sentimento di un’epoca sotto forma di caos, strepiti e violenza, in un quadro di generale delirio. In un unico calderone pseudo-enciclopedico finiscono la guerra in Vietnam, la primavera di Praga e la rivoluzione messicana; gli assassinii di Che Guevara, Martin Luther King e Robert Kennedy; la questione israelo-palestinese ed il problema dei diritti umani in Persia; l’antimperialismo, l’anticapitalismo e il libero amore. La radice del terrorismo degli anni settanta è collocata in una non meglio precisata inquietudine della prima generazione post-bellica, sfociante in una sorta di fanatico impulso giovanile che, avvalendosi di spunti presi a caso nella realtà di allora, ha apparentemente dato vita a un’azione senza riflessione, e a una rivolta priva di un vero supporto ideologico. Il film riproduce scene di contestazione e lotta armata, ma nulla spiega del terrorismo come fenomeno storico, politico e sociale, né, tanto meno, delle dinamiche interne alla “banda”, ovvero di come sia maturata la prima idea di associazione e di come sia avvenuto il reclutamento di nuovi membri. Tutto sembra risolversi in un attivismo concitato e maniacale, raccontato come una successione di episodi di cronaca priva di qualsivoglia filo logico. L’obiettivo si stringe sui dettagli degli attentati e degli scontri a fuoco (con una compiaciuta ricerca della spettacolarità, quasi si trattasse di un action movie), riducendo l’intera storia ad una sorta di sfida personale tra i militanti della RAF, da un lato, e le forze dell’ordine e la magistratura dall’altro (come in un film poliziesco). Il difetto più clamoroso dell’opera è, di fatto, la totale assenza di riferimenti alla popolazione, al pesante clima di paura, e tensione e sfiducia nelle istituzioni che ha gravato sulla quotidianità della gente comune, in Germania come in Italia, durante tutti i cosiddetti “anni di piombo”. In conclusione, “La banda Baader Meinhof” è un’opera in cui manca l’analisi, e che per questo rende un pessimo servizio a chi, essendo troppo giovane per avere ricordi risalenti a quel periodo, volesse accostarsi al film nella speranza di imparare e capire qualcosa.
Un film lento e silenzioso come “Germania in autunno”, pur contenendo poca cronaca, riesce a dire molto di più su quel periodo storico, che non questo inestricabile coacervo di fatti e discorsi.
Ha davvero uno strano modo di dirigere gli attori: nella recitazione di nessuno di essi è possibile individuare l'aderenza ad un profilo psicologico. Gesti ed espressioni sembrano casuali, ed ogni scena va per conto proprio.
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