Regia di Wayne Kramer vedi scheda film
Australia, Bangladesh, Israele, Nigeria, Corea, Iran, Messico. Non è la nuova lista di stati canaglia, ma i luoghi di provenienza (e forse di forzato ritorno) dei protagonisti di questo Crash-Babel dell’immigrazione. Tutti ospiti inattesi alla ricerca del biglietto vincente, la green card che li renderà americani. A legarli due eroi positivi e solitari, l’agente dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement) Harrison Ford, onesto e rigoroso, e l’avvocato delle cause perse Ashley Judd. L’attrice che si prostituisce (Alice Eve, notevole), l’adolescente islamica condannata da un tema filojihadista, l’ateo folgorato sulla via di Los Angeles (Jim Sturgess, anche qui se la suona e se la canta: dai Beatles agli inni ebraici), la bimba africana, il teppistello asiatico, la famiglia mediorientale (dis)integrata, la madre coraggio, Wayne Kramer (esordì con l’ottimo The Cooler), sudafricano faticosamente naturalizzato, mette molta (troppa) carne al fuoco in un film quasi autobiografico. Retorica patriottica di chi un Paese se lo sceglie, stratagemmi (e stereotipi) visivi e narrativi buoni ma già visti, l’ingiustizia casuale e poco catartica rende il film intenso e interessante. Reborn in the Usa.
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