Regia di Wayne Kramer vedi scheda film
Dando una rapida occhiata in sequenza alle varie recensioni che si sono occupate di questo film, si riscontra un atteggiamento assai tiepido, molto frenato, trattenuto, quasi si volesse stroncare l'opera ma, pietisticamente, ci si limitasse ad una blanda critica, implicita tra le pieghe di un sommesso "sufficiente". Veramente il critico di "Repubblica" ricorre, già più esplicitamente, ai termini "goffo" e "sonnacchioso". Guardate, io non mi voglio nascondere dietro un dito, nè tantomeno esprimere un giudizio favorevole precostituito, per cui non ho alcun problema ad riconoscere una certa piattezza di regìa che toglie, in certa misura, godibilità e passione ad una pellicola che avrebbe potuto essere ben più incisiva. Tuttavia, io resto convinto che un film che affronta con coraggio temi delicati come i sentimenti drammatici che travolgono le vite di persone le quali si vedono privare della possibilità di vivere una vita serena, condannate ad un destino di ansia ed infelicità, ebbene io -stavo dicendo- credo che un film come questo meriti innanzitutto RISPETTO. E credo anche che i difetti tecnici di un simile prodotto vengano riscattati dalla passione drammatica di cui sono impregnate le esistenze dei singoli personaggi. Perchè, attenzione, questa è fiction, ma sappiamo benissimo che è la rappresentazione "artistica" di una REALTA' durissima. E non è questo "un problema fra i tanti", anzi è il PROBLEMA dei PROBLEMI della nostra società, quello della (IM)possibile convivenza tra culture, razze, civiltà, e religioni che si richiamano a princìpi talvolta molto diversi. Quello stesso problema che spinge ogni giorno nel Pianeta, migliaia di persone misere ed infelici a fuggire verso la libertà o verso una loro idea, spesso solo immaginata e in maniera distorta, di benessere. Quello stesso problema che, nei suoi oscuri risvolti più incancreniti, muove un terrorismo subdolo e bastardo che, oltre a seminare terrore e morte, alimenta una ormai deleteria ed intollerabile cultura del sospetto e della diffidenza che -quando è esercitata in maniera cieca e sorda- non può che generare altra infelicità, altro odio, in una catena di dolore senza più fine. Io, di fronte a queste storture e a questi problemi non ho ovviamente risposte o soluzioni, eppure sono convinto che una piccola luce di speranza vada sempre mantenuta accesa. E non posso fare a meno -scusandomi magari con qualcuno che troverà ingenua questa mia riflessione- di individuare oggi quella piccola luce in una sola persona che però è la più potente della Terra. Intendo dire che nutro una mia tenace fiducia che il Presidente Obama abbia fatto (stia facendo e farà) scelte diverse da quell'arido ed improduttivo muro contro muro portato avanti con ostinata cecità dal suo inetto predecessore. E' chiaro che non mi illudo, ma io credo che un Presidente che dia segnali di voler "ASCOLTARE" chi la pensa diversamente da lui, senza solo far ricorso alla forza come primaria ipotesi, è già un'ottima partenza. Soprattutto perchè contro lo spettro subdolo del terrorismo suicida non ci saranno mai durezza o forza adeguate. Chiedo scusa per questa "tirata" ai confini del delirio logorroico, ma siccome poi -venendo al sodo- è QUESTO che i drammi personali rappresentati sullo schermo vogliono esprimere, di QUESTO si sta parlando, e con QUESTO bisogna fare i conti. Nel film vengono rappresentati molteplici casi umani dolorosi (probabilmente troppi), ciascuno con una sua problematicità e con diversi risvolti, ma tutti raccordati dalla presenza costante di un poliziotto del reparto immigrazione, che è un uomo (Harrison Ford) tormentato da più di un dubbio sulle conseguenze di ciò che sta facendo. Lui è lì per applicare la Legge, ma è cosciente che l'assurda rigidità di certi meccanismi burocratici determina svolte che condannano persone già sfortunate ad un futuro di profonda infelicità. Come accennavo, si tratta di un film corale, per cui risulta impossibile riassumere qui ogni singolo caso e personaggio. C'è un'attricetta australiana che crede di trovare una scorciatoia per acquisire la cittadinanza americana offrendo il proprio corpo ad uno squallido funzionario, anche se poi le cose prenderanno una piega inaspettata. Poi c'è il collega del poliziotto Harrison Ford che è di famiglia iraniana, una famiglia con seri problemi che culminano in un omicidio. E ancora una giovane operaia messicana che viene rimpatriata ed è straziata dal dolore per l'allontanamento dal suo bambino. Ma meglio che mi fermi qui, perchè i casi umani sono ancora altri. Ma c'è un ultimo episodio che ci tengo a descrivere perchè è il più toccante, rappresentato con pathos e realismo significativi che hanno emozionato anche il sottoscritto. E' il caso di una fiera ragazzina del Bangla Desh che ha maturato un enorme livello di consapevolezza, inconsueto per la sua giovanissima età, e che la porta a documentarsi su internet circa le ragioni storiche e politiche che muovono il terrorismo, al punto che durante un tema in classe afferma i suoi dubbi e la sua urgenza di saper ascoltare anche la voce di chi vorrebbe punire duramente la civiltà occidentale. Per questi motivi, dunque squisitamente teorici, lei verrà accusata ufficialmente dall'FBI di sospetto terrorismo; la ragazzina viene quindi immediatamente rimpatriata e separata dagli affranti genitori, con l'intuibile corollario di una famiglia spezzata dal dolore. Ora, io sono perfettamente consapevole che maneggiare materiale come quello che ho appena descritto comporta una serie di rischi, primo fra tutti quello della retorica dei sentimenti. Rischio che, lo ammetto senza problemi, il regista per buona parte del film non è riuscito ad evitare. Ma credo anche che, di fronte ad un cinema che racconta il dolore vero (cioè che si richiama ad una realtà VERA) di migliaia di persone non mi pare sia il caso di fare troppo i "professorini" o di usare il bilancino di precisione. Rispetto, prima di tutto. Il cast è numeroso ed espone in primo piano tre superstar come Harrison Ford, Ray Liotta e la sempre affascinante Ashley Judd. Ma, in proposito, vorrei fosse dato il giusto rilievo alla semi-sconosciuta (e incantevole) Summer Bishil che dà voce e corpo con rara e vibrante intensità alla ragazzina sospettata di essere filo-jihadista: ecco, io avrei preferito vedere il suo dolcissimo volto triste sui manifesti del film, accanto alle solite faccione dei divi. La figura del poliziotto che fa da raccordo fra tutti i casi messi in scena è significativa. Egli infatti viene dileggiato dai colleghi che lo prendono in giro, accusandolo di essere troppo tenero con gli immigrati arrestati nel corso delle frequenti retate di clandestini. In realtà quel poliziotto non è nè solidale con gli immigrati nè tantomeno indignato. No, ciò che lo anima e che lo turba è solo un montante sentimento di umanissima pietà verso persone che percepisce come sfortunate. E vorrei concludere condividendo con chi mi leggerà un semplice pensiero che mi ha accompgnato verso l'uscita dalla sala. E se al posto di un (bollito?) Harrison Ford, ci fosse stato quel diavolo di un Clint Eastwood...che razza di film ne sarebbe uscito fuori?
Voto: 8 e 1/2
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