Regia di Neil LaBute vedi scheda film
Qualcuno l’ha definito «Suburban Psycho-Neighbor-Noir» e la descrizione non fa una grinza, anche se nella prima mezz’ora non succede niente. È che al regista e drammaturgo Neil LaBute (La società degli uomini) piace così: non ama le scorciatoie thriller, né gli effetti speciali. Preferisce scandagliare gli affetti, lavorare sulle psicologie thriller, scavare nel torbido delle motivazioni sociologiche. Viene fuori allora che Samuel L. Jackson è un memorabile irascibile sbirro, tutto ordine e legalità, reso ancor più rigido da un passato matrimoniale difficile da spiegare. Adesso è solo con le sue manie e i figli da inquadrare, ossessionato dal nuovo che avanza. Come la coppia di giovani, lui bianco, lei nera, che viene a vivere nella villa a fianco, vicini troppo vicini nel ghetto super lusso. Le convinzioni del poliziotto vanno in crisi e la serenità degli sposini, che vista dalla terrazza accanto è più fiabesca di quanto sia in realtà, getta benzina sul fuoco dei pregiudizi, alimentando razzismi inediti e molestie assurde. Come dire che la violenza è sempre il modo più svelto per comunicare. Intanto, intorno, le colline della California bruciano, e la metafora è evidente. Però il finale è di speranza: sognando Obama, l’unica via è multietnica.
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