Regia di George Cukor vedi scheda film
E’ lecito chiedersi perché questo di Cukor non rientri quasi mai tra i musical preferiti da spettatori e professionisti del genere,che spesso neanche lo conoscono,e frose è facile spiegarlo:perché non lo è,o almeno non nell’accezione che sempre si attribuisce ai musical.
La differenza più significativa sta nella trama che,contrariamente a quanto succede nella maggior parte dei musical,non ha nulla di pretestuoso e non risulta forzata nel solo scopo di inseguire una giustificazione per un numero musicale:vivrebbe autonomamente anche senza,l’originalità( e limportanza) della parte processuale crea già una distanza dall’ambiente ostinatamente allegro dei protagonisti della scena.
Ma la scena teatrale viene dipinta per ciò che è e per ciò che vuole nascondere,e Cukor,seppur con i prediletti toni della commedia( e qui ci sono ancora i dialoghi gustosi e frenetici tra i protagonisti,la guerra dei sessi,il gioco spesso crudele delle infedeltà),la presenta senza edulcorarla:una scatola magica dove le ombre contano quanto le luci,un vaso di Pandora di non sempre prevedibili miserie umane:”Les Girls” in fondo è una tragedia non dichiarata.
Nella messinscena delle oscure parentesi in cui si vive dopo lo spettacolo si raggiunge una felicità di racconto non comune:la forografia non è solare,la scena ha più senso quanto è per metà nascosta dal buio,quando tutti si ritirano;e questo interessa a Cukor:mostrare una serie di personaggi,nei confronti di nessuno dei quale si insiste con cattiveria,che non abdicano mai dal loro vivere la commedia anche e soprattutto dopo la fine di uno spettacolo,personaggi fino in fondo,incapaci di vedersi lontani dalla gran recita della vita:e allora quale miglior occasione di un processo?
Anche per questo non vengono privilegiati i momenti in cui si costruisce uno spettacolo(pratica che di fatto nel film non viene mai mostrata),né abbondano i numeri musicali:lo sfoggio di sé in scena è assai meno importante del seguito,dove il pubblico non è invitato.
L’altra felice trovata sta nell’eccellenza di tre attrici completamente diverse e di Gene Kelly gran capocomico defilato.
Può anche essere vero che ad alcuni tutti questi pregi potranno sembrare difetti nella misura in cui vengono disattese le esigenze da un film che si presenta come musical,ma il suo cuore sta in una verità che nessuno dei protagonisti ammetterà mai:quando è terminato il tempo in cui ci si poteva esibire, si ripiegano le speranze di un successo nella rispettabilità borghese e anche all’interno di un tribunale,per chiedere ancora una volta,seppur amaramente, di essere applauditi ed essere amati
Resta sempre un gran film di regia.
Può apparire sottotono,meno essenziale e prepotente che in altri film, ma la classe non si misura con i minuti sullo schermo, e ce lo ricorda con una padronanza della scena sempre fuori del comune
Le basterebbe l’imperdibile passo a due con Kelly,bonaria presa in giro del Selvaggio con Brando,per ritagliarle un posto tra le più intrigante partner di quel Peter Pan della danza.
Autentica signora britannica a cui vengono affidati i più efficaci momenti di canto e controcanto del film,ha una sua indomita malinconia che sa spingere a un passo dalla parodia.
Un elfo dal viso infantilmente femminile,non sufficientemente ingenua,non completamente adulta,carica di una grazia ancora ribelle.
Il gran cerimoniere è sempre un infallibile direttore d’attori(e d’attrici,ovviamente) e nel filmare gli splendori del palcoscenico sembra che inviti il pubblico a non affidarsi mai alle dichiarazione dei suoi personaggi:la mano non è mai forzata e nelle sua regia la lucidità non porta mai a compromettere uno spettacolo sfarzoso,trascinante e a suo modo quasi rassegnato a non sopravvivere per molto tempo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta