Regia di Daniele Cascella vedi scheda film
Ad oggi, novembre 2008, i migliori film italiani di questo inizio di stagione rischiano di essere due opere prime, per di più commedie. Uno è il Pranzo di ferragosto che ha sbancato inaspettatamente al botteghino, l’altro è questo La canarina assassinata. Non è un film impeccabile, ma riguardo Cascella, De Gregori potrebbe dire: “il ragazzo si farà | anche se ha le spalle strette | questo altr’anno giocherà | con la maglia numero sette…”. Il suo esordio semina bene un’ipoteca sul suo futuro artistico. Peccato che, neanche uscito, La canarina assassinata sia già finito nell’oblio dei belli e invisibili. Nonostante svariati difetti peculiari delle opere prime, è un piccolo film che merita attenzione. E poi è qualcosa di più di un film: è una ventata di aria buona. È raro vedere, nella nostra cinematografia, un racconto così sapido e a tratti beffardamente spietato che si rivolge alla “macchina cinema” con lingua biforcuta e spirito ribelle. Sotto una patina surreale, cova un animo profondamente civile: il cinema è diventato una cialtronata, il palcoscenico patetico di vite insulse ingabbiate nell’ordinaria tragedia del male di vivere, votate al suicidio (di massa) – spesso inconsapevole. Per molti resta un sogno, la messa in scena dell’immaginifico intrinseco o la concretizzazione della propria arte, fate voi.
Ma c’è un bell’inghippo: “Non ho sogni di riserva”, afferma, infatti, un giovane aiuto regista (che si rivelerà imprevedibile). Amare il cinema non lascia scampo: se non si riesce a realizzarsi in esso, si battono altre strade, con insopportabile insoddisfazione. È una goduria per i cinefili: da Psycho a Viale del tramonto, passando per Effetto notte e La donna che visse due volte, con spruzzate ed omaggi reconditi a Scola e Risi. Tra l’altro, l’inizio è palesemente in tono: il Nuovo Cinema Paradiso desolatamente vuoto in cui scorrono i titoli di coda del primo film del protagonista. Compare il Dio del Cinema, che sputa crudele sui registi italiani (ormai il loro habitat naturale è la sala vuota dei cinema di periferia). Il cinema è morto, specie quello in sala. Tanto vale ricordare il passato. È un giallo, ma anche una commedia, e un film comico, e pure trasversalmente un thriller. È un concentrato d’amore, qua e là un po’ smarrito, sul come vivere la Fantasia e le sue conseguenze. L’accumulo parsimonioso di citazioni e rimandi, indizi e battute, ne fanno un’opera profondamente sarcastica, diversa, intelligente.
Non è perfetto (nella seconda parte perde un po’ quota, inevitabilmente, dato il soggetto, finché non scorre in crescendo nel finale), ma è originale (e il titolo ne è la prova). Dote rara nella cinematografia nostrana attuale. Sottilmente, è anche un film disperato: non c’è personaggio tranquillo, sono tutti senza pace. E c’è un finale alla Ultimo metrò che, di primo acchito, può apparire fuorviante, ma che in realtà si rivela necessario, fatale. È un film sull’illusione del cinema, che parla di (e a) noi cinefili e del (e sul) nostro ruolo social-culturale all’interno di una società malata. È un film su dove sta andando il cinema, su dove stiamo andando noi cinefili. (E se il film è rivolto solo a noi e non al grande pubblico?). Paolo De Vita e Remo Remotti migliori in campo, Bruno Armando e Caterina Vertova gustosi.
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