Regia di Uberto Pasolini vedi scheda film
U. Pasolini poggia il suo sguardo lucido e disincantato sulla realtà di un paese del terzo mondo, lo Sri Lanka, alle prese con il fenomeno migratorio. Un gruppo più che eterogeneo di abitanti per ottenere il visto d’ingresso per la Germania si fa passare per la squadra nazionale di pallamano, sport a loro del tutto sconosciuto, per partecipare in terra tedesca su invito ad un torneo, e una volta sbarcati in Europa fuggire per coronare la loro aspirazione ad un futuro migliore. Il distacco della regia si realizza documentando fedelmente la quotidianità, la povertà, il modo di relazionarsi e gli espedienti per sopravvivere degli abitanti, tanto da non abbellire, edulcorare, o tantomeno occidentalizzare le immagini. La vicenda assume quasi un tono da documentario anche se è fittamente popolata dall’intreccio delle storie fra i personaggi impegnati a confezionare la menzogna che sta alla base del loro tentativo di fuga. Che poi il regista oltre a questo film, sia il produttore di Full Mounty e l’autore del recente Still life non può che rimandare ad un’attenzione verso i diseredati e i marginali, che qualsiasi società percepisce come elementi imprevisti del materialismo dominante e destinati all’emarginazione e all’invisibilità. Pasolini evidenzia alcuni elementi della comunità cingalese che pur rappresentandosi apparentemente diversa dalla nostra, si dimostra permeata dalle stesse debolezze, da similitudini di comportamento e nelle aspirazioni. Il progressivo impoverimento materiale che il regista denuncia, sembra in grado di minacciare l’identità, prima di un popolo e poi dell’individuo, l’azione dei protagonisti invece acquista senso e valore solo quando è collettiva perché influisce su di una condizione morale e sociale diffusa, mentre lasciata in carico al singolo è avviata all’inesorabile sconfitta. Così la fuga disperata e collettiva si trasforma in quello spirito di squadra che eleva il diritto e la dignità di un popolo. Esposti a figuracce memorabili sul campo di gioco, e a sermoni improbabili e retorici improntati al riscatto e alla determinazione negli spogliatoi, i personaggi si faranno forza con le loro risorse umane, sapendo bene che fuori dal loro mondo per gli altri non sono niente, sono merce senza valore, al massimo sono preda delle forze di polizia che mantengono viva l’illusione della sicurezza da parte di chi vive meglio. Allora non resterà che recuperare la propria storia, ciò che si è e si vale in qualsiasi parte del mondo. Con valori estetici e morali assai diversi da The millionaire i protagonisti di Machan esplorano le nuove terre promesse, con in mano buste colorate di plastica e il sorriso amaro sulle labbra. Come non fare il tifo per loro?
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