Regia di Marco Bechis vedi scheda film
Film-denuncia che si risolve in una infelice imitazione del cinema indigeno. L'opera, purtroppo, è viziata da una visione prettamente occidentale, di matrice "turistica", che unisce ad una curiosità morbosa per ogni dettaglio della quotidianità degli indios, un evidente senso di colpa per i soprusi perpetrati a loro danno. A ciò si mescola un muto compiacimento nell'atto di scoprirli, in fondo, così simili a noi, pur nella loro pittoresca diversità. Gli "uomini rossi" sono, e invariabilmente restano, gli "altri", che l'uomo bianco pone, sia pur inconsciamente, un gradino più in basso: difatti li ritrae come un gruppo di sempliciotti moderatamente bellicosi, ogni gesto dei quali è, di per sé, folclore, e li contrappone ai "fazenderos" cinici sfruttatori e portatori di ogni vizio e corruzione. In altri termini, i lodevoli intenti (più umanitari che documentaristici) si perdono in una giungla di stereotipi, che una sceneggiatura semplicistica e priva di inventiva non fa che accentuare. L'impegno di Bechis si è fatto apprezzare in "Garage Olimpo" e in "Hijos", ma lì il problema rientrava in categorie politiche ben note dalla storia europea. Quando, invece, la questione investe culture così profondamente diverse dalla nostra, è meglio lasciar parlare i diretti interessati.
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