Regia di Pascal Laugier vedi scheda film
Naturalmente, come faccio ogni volta, mi ero informato sul film di cui mi accingevo alla visione. E non è che fossi proprio "vergine" in fatto di horror dal versante splatter piuttosto spinto. Anzi. Eppure non è stato sufficiente, la mia tolleranza è stata messa a dura prova da un tale inaudito carico di immagini, pensieri e teorie assolutamente devastanti. E voglio aggiungere che, adesso che l'agitazione indotta da quella visione si è placata, posso affermare che aver visto questo film ha rappresentato per me un'esperienza indelebile, un ricordo che mi accompagnerà per sempre, e che va ben oltre la semplice memoria di un film visto fra tanti. E a questo punto sono davvero estremamente curioso di confrontarmi con chiunque sulla condivisione di un'opera di tale portata emotiva. Se qualcuno -ma lo ritengo improbabile- non avesse mai sentito parlare di questo film e si fosse spaventato dalle espressioni "allarmanti" che ho utilizzato per introdurlo, beh, farebbe benissimo a spaventarsi. E anche quella paccottiglia di frasi fatte che si è soliti leggere del tipo "roba per stomaci forti", in questo caso non solo risponde al vero, ma non rende neppure l'idea di quanto viene mostrato sullo schermo. Non il solito horror sanguinolento dunque, ma qualcosa che si spinge molto OLTRE, e che investe speculazioni filosofiche, mistiche, forse anche politiche. Il film si divide piuttosto nettamente in due parti. La prima attiene al desiderio, drammaticamente realizzato, da parte di una povera ragazza disgraziata, di attuare una feroce vendetta nei confronti di una insospettabile famigliola borghese che, molti anni prima. la schiavizzò orrendamente, minandola per sempre nel fisico ma soprattutto nella mente. Questa infelice si chiama Lucie e non è sola al mondo, perchè può contare sulla solidissima amicizia della coetanea Anna. Peraltro il tipo di rapporto esistente fra le due giovani non viene approfondito mai del tutto, ed è quindi lecito sospettare come ipotizzabile anche un legame d'amore. Anna è piena di affetto protettivo verso l'amica sfortunata, e quando -convocata telefonicamente da una Lucie in preda ad un attacco di disperazione- arriva sulla scena del crimine, dopo aver superato l'orrore e lo strazio del panorama di una casa devastata dal sangue, comincia razionalmente a far sparire, uno ad uno, i cadaveri. Fin qui, seppure a tinte forti, si può intuire una sceneggiatura in qualche modo decifrabile, o comunque riconducibile ad un riconoscibile schema narrativo. Ma questa è solo la "partenza" del film. Dopo accade "qualcosa" di ancor più terribile che imprime alla seconda metà del film uno stile che più che con l'horror ha a che fare con il mistico o con il filosofico. Ma la strada scelta dal regista-sceneggiatore Pascal Laugier si fa a questo punto impervia, un cammino davvero impegnativo per il giovane cineasta francese, già autore di quella ghost-story a detta di molti nient'affatto esaltante che era "Saint Ange" e che io spero di recuperare quanto prima in DVD. Allora, cosa succede di così sconvolgente nella seconda parte? Mi sembra inopportuno fornire dettagli al riguardo, anche perchè poi quel che diventa "centrale" non è tanto lo sviluppo narrativo seguente, quanto la scelta di indagare dentro i meccanismi della mente umana. Diciamo che Laugier si mette ad esplorare la mente di Anna (Lucie a quel punto è già sparita di scena...), scandagliandone le resistenze e le possibilità reattive verso il dolore e la sofferenza che le vengono scientificamente imposti. Eccolo il punto nevralgico. Cosa succede se un essere umano viene trattato come una bestia, umiliato nella mente e dilaniato nel fisico? Superando il lato disgustoso di simili pensieri, forse è possibile determinare un punto di discrimine, un solco superato il quale il dolore supremo si trasforma in MARTIRIO, in una accezione del termine che implica i concetti di Salvezza e probabilmente anche di Santità. Esiste dunque un confine oltre il quale l'introiettare dolore ed atrocità, si trasfigura dapprima in rassegnazione e poi in Sublime Sacrificio della Carne in nome di qualcosa che può essere una fede o un ideale. E a quel punto anche l'espressione del viso di chi è attraversato da una simile estrema esperienza pare far assumere a quegli occhi apparentemente persi nel vuoto una vaga sembianza di anelito alla Beatitudine Eterna. Lo so bene che sono concetti "malati", ma d'altronde questo è tutto fuorchè uno spettacolo "sano". E poi c'è questo concetto che affiora, non originale ma sempre convincente, della buona società borghese come estremo custode dell'odio e della ferocia: verso la fine assistiamo ad un consesso di bravi cittadini borghesi in giacca e cravatta che si riuniscono in un frangente che preferisco non rivelare. E così mi è tornato alla mente quel capolavoro assoluto (uno di quei film che mi hanno cambiato la vita) che fu "Rosemary's Baby": anche là leggiamo tutto lo sgomento negli occhi di Mia Farrow quando scopre che i vicini di casa, tutti così affabili e per bene, custodiscono in realtà il più orribile dei segreti. E qualcosa di analogo, se la memoria non m'inganna, ricorreva anche nel cult "Society" di Brian Yuzna. L'impronta registica di Laugier è perfetta, asciutta e priva di fronzoli, tesa a seminare dubbi e pronta a sottolineare con forza ogni dettaglio che possa generare malessere e inquietudine. Data la sostanziale irrilevanza della sua (prima) precedente opera, pochi si aspettavano da Laugier un simile exploit, o comunque ci si attendeva qualcosa di meno ambizioso e impegnativo. Sì, perchè si tratta di un film coraggioso e che punta in alto. Adesso non vorrei che la mia sembrasse una gigantesca sviolinata, ma davvero c'è chi ha scritto che "Martyrs" ha segnato un punto di "non ritorno" in questo filone cinematografico. Opinione tutto sommato condivisibile, se è vero che ancora c'è chi insiste a firmare nuove pellicole in cui vediamo i soliti giovanottoni in vacanza inseguiti dal solito mostro deturpato che si annida nella solita casa. Una domanda che mi sono posto è: "Ma davvero è verosimile che una famiglia media normalissima possa nascondere in cantina una persona schiavizzata?" E mi sono dato due diverse risposte. Intanto le cronache ci hanno dimostrato che fatti strazianti del genere sono stati effettivamente scoperti, pochissimi per fortuna. E poi non dimentichiamo che si tratta pur sempre di fiction, la quale non deve per forza essere sempre verosimile. Resta il fatto che proprio come fiction la vicenda funziona, e questo è dovuto alla mano felice di Laugier che ha scritto il film. Il cast si compone quasi totalmente di tre attrici, tutte donne (anche qui ci sarebbe da interrogarsi sulla scelta di rappresentare sia le vittime che il carnefice con personaggi femminili...). Le due ragazze protagoniste sono straordinarie, si lasciano completamente andare e precipitano nel delirio con un realismo impressionante. Ma c'è anche un terzo personaggio femminile che fa capolino soltanto verso il finale, ma lo fa con grande incisività: si tratta di una anziana signora che tutti chiamano "Mademoiselle". Complimenti ancora a Laugier, che ha saputo scandagliare con coraggio le tormentate personalità di queste due giovani donne, oltretutto in modo diretto, mostrando tutto ciò che c'era da mostrare, senza ammorbarci con improbabili simboli psicanalitici alla Von Trier. Ho trovato curiosa la dedica, che appare sui titoli di coda, a Dario Argento: probabilmente Laugier ne è un fan, anche se faccio fatica a cogliere analogie fra due stili così diversi. Pensierino finale, che ripeto ogni volta ma che tengo a ribadire: i francesi quando si occupano di cinema, qualunque sia il filone, dimostrano sempre una marcia in più.
Voto: 10
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