Regia di Pascal Laugier vedi scheda film
Dopo aver visto Martyrs, ancora più orribili mi sembrano le immagini di Abu Graib: da queste, che io sappia, nessuno ha distolto lo sguardo o gli si è rivoltato lo stomaco, anzi sul web si segnalano milioni di “presenze” nell’orgia del voyeurismo di massa. Incredibile che a un film (sempre di fiction si tratta) si appiccichino etichette porno hard, quando il sesso è completamente assente e i fondamenti della storia indirizzano verso la liturgia della carne.
Martyrs è dunque un film religioso? Oserei dire di sì, come bene evidenziava Giona Nazzaro nell’articolo “Il martirio dei martiri” (FilmTv N. 23), il quale chiama a testimonianza Caterina da Siena e la dolcezza ieratica del bagno di sangue e riporta alla radice greca il significato di “martirio” come “testimonianza” di fede.
Quindi, altro che il film di Laugier!, le visioni si sprecano sui corpi storicamente esistiti di santi ridotti a brandelli nelle officine di ogni Santa Inquisizione.
Certamente Martyrs sfida lo spettatore a stornare lo sguardo – laddove l’horror in serie o il cinema porno chiamano a tenerlo fisso su “clamorosi” trucchi della macelleria o su ogni forame intimo che non si rispetti.
La differenza è tutta qui e non è di scarsa rilevanza, perché Laugier si è fatto le ossa con le monache di Saint Ange, quindi si è documentato sugli scritti di Angela da Foligno e l’anonima Monaca Portoghese e deve aver sbarrato gli occhi a leggere quanto sangue scorresse sulle schiene dei santi e quanta liquefazione di corpi nelle celle dei suicidi di suore che, legate mani e piedi con grosse catene, si lasciavano morire di fame, esalando l’ultimo respiro sulle tazze dei cessi. [vedi il Castello Aragonese delle clarisse a Ischia].
I film sono come i romanzi, bisogna saperli leggere, comprese le note a piè pagina, anche quando sembra che non ci siano. Fatto sta che Martyrs ne contiene altre due, oltre le sopracitate note per la comprensione del martirio: la prima è addirittura segnalata dalla “torturatrice” addetta a sondare attraverso il dolore fisico cosa ci aspetta nell’aldilà, quando cita, a uso dello spettatore-lettore, il Leng Tché, la tortura cinese “dei cento tagli” (il boia esperto seziona il corpo della vittima con tagli accorti perché questa muoia lentamente tra atroci spasimi); alla seconda e più importante nota è proprio il Leng Tché a condurci: la fotografia di una donna torturata con questo metodo ai tempi della guerra dei Boxer, oggi reperibile facilmente sul web, fu a lungo tenuta segreta e invisibile, ma nella collezione di reperti antropologici di Georges Bataille aveva un posto privilegiato, poiché quella foto ispirò allo scrittore romanzi estremi in bilico tra religione e santità, carne e tribolazione della stessa.
Parafrasando il Bataille del saggio L’erotismo, possiamo concludere che Martyrs è un film che “afferma la vita fin dentro la morte.”
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