Regia di Kathryn Bigelow vedi scheda film
Il pericolo può essere una passione: la caccia ad un nemico invisibile, ma micidiale, come le autobombe, le mine e gli attentatori suicidi, diventa come una fede religiosa, una devota pratica quotidiana con cui ci si dedica con abnegazione alla vita mantenendo il pensiero fisso alla morte. Il senso dell’onnipresenza di quest’ultima è l’abisso che separa gli artificieri americani in Iraq dalla popolazione locale: questa sta a guardare, dalle finestre, dai tetti delle case, dal bordo della strada come un’umanità affacciata sull’orlo di una voragine che, per quei moderni gladiatori, dotati di maschere, corazze e tenaglie, diventa l’arena polverosa di una sfida contro l’irrimediabile. La paura si fa più intensa quando riguarda le cose che più ci stanno a cuore, e, nello stesso tempo, trae dall’attaccamento a queste la forza morale per trasformarsi in coraggio. Lottare per l’altrui salvezza, per la sconfitta dell’odio insidioso impacchettato in pani di tritolo, è, per i protagonisti di questa storia, la motivazione umana ad agire, prima ancora di diventare lo scopo ufficiale della missione militare. Causa e finalità coincidono, in un cortocircuito che è alla base di ogni tipo di follia, e induce, anche in questo caso, irragionevolmente a perseverare, a dispetto del rischio proprio e del giudizio del mondo. In The Hurt Locker l’eroismo prende la forma di un’assurda vocazione, della perversa mania di chi ama scherzare col fuoco: un’attitudine inquietante, che, però, in questa storia, si riveste, paradossalmente, di grande coscienza ed elevata professionalità.
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