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Il coraggio delle aquile

Regia di Jean-François Davy vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il coraggio delle aquile

di hupp2000
8 stelle

Avendone letto una breve sinopsi, mi attendevo un normale film di avventura nel quale si sarebbe seguita la scampagnata in montagna di una pattuglia di boy-scout. Nel giro di pochi minuti, ho capito che l’escursione era solo il supporto, la cornice naturale in cui inserire un racconto corale a tratti drammatico, denso di umanità e pieno di riferimenti al momento storico in cui si svolge. Valle di Chamonix, 1960. Patrick guida la sua pattuglia di otto ragazzi tra i 12 e i 16 anni alla volta del massiccio del Brévent, prospiciente il Monte Bianco. I personaggi sono diversissimi tra loro per carattere, orgini sociali e vicissitudini personali, strafottenti e litigiosi come sanno esserlo i maschietti, ma capaci di solidarietà nei momenti difficili. Il film ce li fa conoscere uno ad uno. C’è il giovanissimo Luc, ebreo e figlio di coloni da poco rimpatriati dall’Algeria, angosciato dall’idea di non poter tornare un giorno sull’altra sponda del Mediterraneo. Gli fa da contraltare Jean-Pierre, uno dei più “anziani” del gruppo, sconvolto dalle notizie che gli giungono dal fratello, militare proprio in Algeria, dove è costretto a compiere atti di inaudita barbarie. Dal canto suo, Eric è il classico scavezzacollo di quell’età, disposto a rischiare grosso pur di affermare la sua superiorità atletica e la sua personalità ribelle. Poi, c’è il giovane e divertente ragazzino ostentatamente ateo, che a Dio chiede risposte immediate e precise, capace, durante una breve sosta, di orinare nell’acquasantriera di una chiesetta.  I dialoghi che animano il gruppo rispecchiano fedelmente il linguaggio giovanile di quegli anni. Si allude ovviamente molto al sesso, ma attraverso scambi spontanei, rapidi e talvolta salaci, senza mai scadere nella volgarità. Il film si avvale di una sublime fotografia, aiutata dalla disarmante bellezza dei luoghi, e si lascia sorvolare da una magnifica aquila, costantemente inseguita dalla macchina da presa, alla quale sembra talvolta sostituirsi. Nella parte finale, appaiono gli adulti e tra questi qualche grande nome che si concede poco più di un cameo. Bernadette Lafont (“Les mistons” e “Mica scema la ragazza” di François Truffaut) è la matura infermiera che accudisce i ragazzi più malconci dopo le loro rischiose peripezie. Richard Berry è il padre del piccolo Luc: nel riabbracciare il figlio è costretto ad ammettere che l’Algeria fa definitivamente parte del passato. Bernard Haller è il nonno di Jean-Pierre: gli spetta l’ingrato compito di annunciare al ragazzo la morte del fratello. Con questo film, Jean-François Davy, regista poco conosciuto in Italia, torna dietro la cinepresa dopo 23 anni di assenza, realizzando un progetto che coltivava da lungo tempo. Stando alle sue dichiarazioni (“Secrets de tournage”, sul sito Allociné.com), la vicenda raccontata è interamente e fedelmente autobiografica. Dopo decenni, l’autore ha ripercorso i luoghi in cui aveva guidato un gruppetto di otto boy-scout. Un momento di formazione e un’esperienza che rischiò di concludersi in tragedia.

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