Regia di Jean-Pierre Melville vedi scheda film
Il tema della fede e dei conflitti che possono insorgere dall'incontro dello spirito con la natura dell'uomo, è spesso stato al centro delle opere di molti registi francesi che ci hanno dato in questo campo film di altissima ispirazione e di autentica bellezza.
Potrei citare fra i tanti, Lo spretato, Dio ha bisogno degli uomini, Il diario di un curato di campagna, o anche Sotto il sole di Satana.
Questo Léon Morin, prete si aggiunge con altrettanta dignità ai sopracitati titoli.
Ambientato in Francia durante l'occupazione tedesca e ispirato al romanzo omonimo di Béatrix Beck, narra di Barny, vedova di un ebreo comunista, ed essa stessa marxista, che trova conforto alle sue frustrazioni della vedovanza e dell'occupazione nazista, nei lunghi colloqui con un parroco di campagna rigoroso e convinto della sua attività pastorale.
Crederà persino di essersi innamorata di lui, in quello che risulterà poi essere un percorso interiore verso il recupero della fede e la fiducia nell'esistenza.
Un film dunque che ha per tema "sotterraneo" quello della tentazione della carne che trova in Melville un regista attento e partecipe nel raccontare l'incontro/scontro di due personalità rigorose ed ostinate abbastanza simili fra loro nella caparbia abnegazione nella durezza che rischia di diventare indifferenza, e che realizza un'opera fra le sue più ambiziose (ma non fra quelle più riuscite) che si appoggia comunque su un mirabile equilibrio formale sorretto da poetico fervore e da altrettanto profonda suggestione.
Ci sono nell'opera (soprattutto nella definizione psicologica dei due protagonisti) tutti i semi dei caratteri che germoglieranno con più vigore nelle opere della maturità, ma qui però i risultati pratici non sono alla resa dei conti, del tutto corrispondenti alle (altissime) ambizioni. Il critico del giornale Il Tempo di Roma, ne scrisse addirittura così a suo tempo: una buona occasione perduta proprio a causa delle intenzioni del regista, talmente ambigue e speculative, da rendere inaccettabile anche quanto di buono e di positivo c'è nella vicenda.
Senza arrivare ad essere tanto drasticamente negativi (è evidente che nel giudizio dell'autore del pezzo pesano forti remore di carattere ideologico) si deve oggettivamente ammettere comunque che pur essendo indiscussa e profonda la partecipazione del regista alle tematiche rappresentate, la sua personale visione è forse troppo razionalista (e forse proprio per questo forse non del tutto indicata per trattare problematiche connesse con la fede religiosa e per riuscire a coinvolgerci e appassionarci davvero come spettatori).
Ottima la prova dei due protagonisti, un insolito Jean-Paul Belmondo in abiti talari, e una come al solito inappuntabile Emmanuelle Riva. Da segnalare anche la presenza nella parte di una sentinella tedesca, del futuro regista Volker Schlondorf (anche assistente alla regia).
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