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Leningrad Cowboys Go America

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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La recensione su Leningrad Cowboys Go America

di Peppe Comune
7 stelle

I Leningrad Cowboys sono un gruppo di rockabilly che dalla tundra finlandese arrivano fino agli Stati Uniti per cercare di sfondare nel mercato musicale. Sono guidati da Vladimir (Matti Pallonpaa), un impresario un pò cialtrone che quel poco che riesce a far guadagnare al gruppo lo spende quasi tutto per se. Vestono di nero, con un ciuffo a "trapano" lunghissimo che si sposa bene con l'acuminata punta delle scarpe. Per farsi accettare in America devono cambiare il loro repertorio, troppo legato alle sonorità dei canti popolari russi, così assimilano gli stilemi della musica americana passando dal rock al country e dal jazz al rhythm and blues. Ma questo non gli basta per incontrare i gusti del pubblico. L'unica cosa concreta che riescono ad ottenere è un ingaggio per un matrimonio. Ma devono recarsi in Messico e così iniziano un viaggio che li pota a far tappa in diversi locali, tutti squallidi e nessuno in cui riescono a farsi apprezzare. Viaggiano con una macchina sgangherata e con una bara sul portabagagli che serva a contenere il cadavere del bassista morto congelato e a tenere in fresco le birre. A distanza li segue Igor (Kari Vaananen), un componente della band cacciato per la calvizie che non gli consente di tenere il ciuffo secondo i parametri del gruppo.

 

scena

Leningrad Cowboys Go America (1989): scena

 

"Leningrad Cowboys Go America" sarà anche un film minore di Aki Kaurismaki, ma a me pare un gioiellino ancora tutto da scoprire nell'ambito del discorso sociale dell'autore finlandese, un on the road di graffiante ironia, una ventata di surrealismo nordico insinuata nel cuore pulsante degli Stati Uniti che non manca di far intravedere la natura esclusivamente mitologica del "sogno americano". Un gruppo marginale che vive in un paese come la Finlandia e che si trova ai margini del grande mercato della musica massificata, parte per cercre fortuna nell'ombelico del mondo per ritrovarsi a girare sempre ai lati del suo splendore, in bettole fatiscenti tra i marginali come loro, che li guardano come alieni tra un ubriacatura e l'altra. Il centro rimane lontano e con esso le luci della ribalta, come a voler consacrare la fissità di ruoli e funzioni sociali che sempre e ovunque seguono l'andamento sistemico della macchina omologatrice. Un tratto "serio" della poetica di Kaurismaki che qui segue uno sviluppo tutto giocato sulla grottesca rappresentazione di un viaggio nel regno dell'utopia. Si ride spesso, con situazioni altamente esilaranti, come la storia della bara naturalmente, o il ricongiungimento dopo molti anni con un cugino (Nicky Tesco), riconosciuto grazie all'inconfondibile ciuffo, e c'è anche l'amichevole partecipazione di Jim Jarmusch nelle vesti di venditore di automobili. Cose che, insieme ai gustosi momenti musicali (i Leningrad Cowboys sono un gruppo rock di successo nel loro paese), rendono il film buono a vedersi e a sentirsi. A Kaurismaki basta sempre poco per sviluppare la sua idea di cinema, pochi movimenti di macchina per restituirci i caratteri salienti di un tipo d'autore. Anche quando segue la strada di una più marcata leggerezza come in questo caso, il suo cinema ti induce sempre a delle riflessioni sullo stato delle cose. Oscillando tra il serio e il faceto con la maestria tipica di chi col minimo consentito sa riportare il cinema alla sua essenza poetica.

 

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