Regia di Ron Howard vedi scheda film
Dopo il debordante exploit del Codice Da Vinci, il buon Dan Brown ricacciò dalla naftalina un romanzo che aveva scritto alcuni anni prima, col medesimo protagonista, quel Robert Langdon che sembra Roberto Giacobbo per come veda complotti dietro ogni angolo. Prima o poi dovremmo cercare di capire per quale diamine di motivo Giacobbo cerchi il Santo Graal anche nella ricetta della crostata di Nonna Papera, ma non è questo il luogo. Insomma, tonando al professor Langdon – il tizio che stava per lasciarci le penne seguendo le tracce del Graal (ma godersi il lauto stipendio accademico, no?) – si dica subito che in realtà Angeli e demoni è precedente al Codice, nonostante nella trasposizione si spacci l’esperienza vinciana come anteriore a questa. Comunque sia, ce ne frega fino ad un certo punto. Rispetto a quella catartica assurdità beota del Codice, Angeli e demoni ha qualche pregio in più: pur restando una spassosissima scemenza basata su indizi a cui crederebbe solo il suddetto Giacobbo, il film c’è. Con non poche inverosimiglianze, pieno zeppo di ameni paradossi (mi spiegate come cacchio fa la prima ricercatrice del CERN che passa a strappare una pagina di un qualunque documento dell’Archivio Vaticano?) e irrazionalità galattiche (il finto sacrificio del Camerlengo raggiunge livelli degni di un innesto transgenico tra gli scarti di The Day After Tommorrow, una brutta copia di una puntata di Spazio 1999 e l’atmosfera rarefatta dei romanzi di Ken Follet – e uno spruzzo di Beautiful, che non guasta mai), ma c’è, il film ha un suo perché.
Non è un capolavoro, e non ne aveva le pretese (i blockbuster raramente ambiscono a tale status), ma non fa neppure schifo (come Il Codice, assolutamente pretenzioso, stolto e fuori luogo come opera filmica più che come fenomeno da baraccone). Probabilmente è anche dovuto al fatto che l’esposizione mediatica di Angeli e demoni è stata oltremodo minore a quella del suo predecessore, e alla fine della fiera va a finire che ti risulta pure più simpatico: ti sembra il fratello sfigato del Codice che, sotto sotto, è pure più interessante dell’altro. Intanto ha un grande valore: la cinepresa utilitaristica di Howard ama Roma solo come gli americani sanno fare (dai tempi in cui Audrey Hepburn scorazzava per la capitale sulla vespetta di Gregory Peck). Qualche incongruenza anche in questo giro turistico (una Sistina palesemente azzardata), ma il gioco vale la candela, almeno parzialmente (chi è lontano da Roma se la può godere in formato panoramico).
Certo, il thriller regge fino ad un certo punto: il divenire giallistico va avanti troppo meccanicamente (e le 19:59, le 19:00, morto, e poi cinquantanove minuti in cui non si capisce nulla; e le 20:59, morto, e poi cinquantanove minuti in cui non si capisce nulla; e così via fino alle 22:59, ma stavolta senza morto… e via discorrendo) e senza pathos (nonostante il sangue, il fuoco, i topi, le sparatorie… tutto molto prevedibile, automatico, ripetitivo); la risoluzione del mistero è fin troppo telefonata (tra l’altro tutto l’ambaradà di Illuminati e compagnia cantante – e tutti i tasselli faticosamente messi assieme dallo spettatore stordito – salta in aria, scatenando nel suddetto spettatore un sonoro, caloroso, accorato “mavaffancuore”), con un meccanismo abbastanza simile a quello del Codice; il finale è interminabile (stesso difetto nel precedente film), come se Langdon non si voglia rassegnare ad accettare che il mistero è risolto, troppo voglioso di scoprire sotto le sottane dei cardinali il terzo segreto di Fatima collegato alla generazione dell’antimateria in un laboratorio qualsiasi del Gran Sasso spostato da Tesla senza un apparente motivo. Sì, Voyager fa male. Comunque sia, tra cardinali mangiati da topi e conclavi profanati, esplosioni improbabili e figli impuri, uomini arsi vivi e passaggi segreti conducenti in Vaticano, Angeli e demoni ha il sacrosanto onore di aver ridonato capelli decenti al povero Tom Hanks. Dai, non facciamo gli spocchiosi, il film è tremendamente (ed involontariamente?) divertente, nonostante lo stato ansiogeno a cui ti costringe non di rado.
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