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Legittima difesa

Regia di Henri-Georges Clouzot vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Legittima difesa

di alan smithee
8 stelle

H-G. CLOUZOT

Jenny è una briosa, giovane e civettuola cantante di cabaret nella Parigi post Secondo Conflitto Mondiale, sposata da poco con un timido pianista suo collega di nome Maurice: un tipo schivo, seppur dotato, poco appariscente, ma assai geloso e quasi incredulo che una donna briosa e piuttosto avvenente come la sua consorte possa restargli fedele.

Tanto più che Jenny, astuta e scaltra, non disdegna di mostrarsi disinvolta e possibilista con i ricchi cittadini che parrebbero in condizione di agevolarne l’ascesa nel mondo senza scrupoli dello spettacolo. Circuita in particolare da un anziano viscido ma influente “tombeur de femmes”, la donna finge di stare al suo gioco, ma Maurice, sempre più geloso, non la smette di pedinarla, ed ossessionato dall’idea del tradimento, inizia a premeditare l’omicidio dello sgradevole individuo: si crea un alibi presenziando ad uno spettacolo di cabaret, e si reca di nascosto a casa del rivale, per farsi giustizia, trovandolo tuttavia già esanime, morto ammazzato da qualcuno che lo precedette di poco.

Il caso finirà sotto le cure del tenace ispettore Lamour, che non tarderà ad inserire tra i più probabili sospetti il giovane impacciato musicista innamorato.

L’indagine diventerà serratissima, e contemporaneamente accenderà tra i due coniugi un sentimento in grado di ravvivare un rapporto ostacolato dal diverso, anzi opposto temperamento dei due, uniti solo dal mestiere che li accomuna in uno stesso palco.

Lo sviluppo giallo, comunque piuttosto elaborato e, a suo modo, serrato, finisce per rivelarsi alla fine solo un abile pretesto per dar modo nuovamente al gran regista H-G. Clouzot di tracciare un arguto e sfaccettato ritratto d’epoca, forte di caratteri e personaggi finemente caratterizzati nelle pieghe dei rispettivi atteggiamenti, caratteri e comportamenti coloriti e spesso folkloristici, figli di un’epoca lontana, foriera di novità e di quell’ottimismo derivante dal fine conflitto appena verificatosi.

Un film in qualche modo corale, forte di una miriade di personaggi minori vivaci e potenti anche quando relegati a brevi, fulminei interventi; per il resto tutto è nelle mani del brioso, volitivo terzetto attoriale dei protagonisti: Suzy Delair, all’epoca compagna del regista, oggi centunenne veterana tra le attrici d’Oltralpe, già protagonista dell’esordio del ‘42 di Clouzot L’assassino abita al 21, e qui nuovamente canterina, pimpante e spiritosissima (un vero e proprio ciclone iperattivo), la fa da patrona, ma i due attori che la circondano assecondano i suoi irresistibili sipari con grande umanità ed eleganza: Bernard Blier è il marito goffo, bruttino ma talentuoso, sinceramente, anzi perdutamente innamorato di quel ciclone di femmina che ha sposato, al punto da tendere ad immolarsi e a confessare un assassinio mai compiuto, ma solo premeditato; per il ruolo del rude ma anche umanissimo, quasi commovente dell’ispettore Lamour, un grandioso Louis Juvet dà volto e corpo in modo esemplare ad un uomo apparentemente inflessibile e pietrificato dal proprio ruolo, in realtà padre amorevole, affettuoso e conciliante di un figlio concepito nelle colonie, e riportato in patria a seguito di una vedovanza prematura.

Splendide scenografie di quartiere (il Quai des Orfèvres del ben più pertinente titolo originale, che si riferisce all’indirizzo della centrale di polizia), una immacolata e assai suggestiva nevicata di sottofondo creata con l’ausilio di piume di pennuto, gran ritmo, brio, e un pizzico di tensione per un film che ha consentito a Clouzot di riaffacciarsi nel mondo del cinema dopo esser stato messo quasi al bando a seguito delle polemiche nate, in piena guerra, con l’uscita de Il corvo; qui il regista non rinuncia a perdersi nei ritratti umani, soffermandosi su vezzi, pettegolezzi, curiosi incedere della gente di quartiere: personaggi amati dallo stesso cineasta, che ci si sbilancia generosamente nella descrizione di tratti fisici ed umorali,  nelle schiettezze e veracità popolane che non riescono tuttavia a sviarlo da un percorso principale che resta l’intrigo criminoso con tanto di morto ammazzato.

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