Regia di Henri-Georges Clouzot vedi scheda film
Uno dei non pochi capolavori del grandissimo Georges H. Clouzot, con un Louis Jouvet in stato di grazia, un tenero Bernardi Blier e una strepitosa Suzy Delair, all'epoca compagna del regista.
Pietra miliare del genere “noir” francese, come lo era stato pochi anni prima “La fiamma del peccato” di Billy Wilder in quello americano. Georges H. Clouzot firma uno dei suoi capolavori, dopo due anni di silenzio coatto a causa della sua collaborazione con la “Continental”, casa di produzione franco-tedesca durante l’occupazione nazista. Il film è tratto dal romanzo giallo “Légitime défense” dello scrittore belga Stanislas-André Steeman, pubblicato in Belgio nel 1942.
L’intreccio poliziesco è ben congegnato e cattura indubbiamente l’attenzione dello spettatore, ma riveste un’importanza secondaria rispetto alla pregevole caratterizzazione dei singoli personaggi, all’impeccabile recitazione di grandissimi attori e alla splendida ricostruzione di ambienti del music-hall e della questura (il “Quai des Orfèvres” del titolo) negli anni successivi alla Liberazione. Fin dall’inizio, con la presentazione della cantante-soubrette Jenny Lamour (Suzy Delair), che interpreta la celebre e spiritosa canzone “Avec son tralala”, accompagnata al pianoforte dal marito Maurice (Bernard Blier), si è posti di fronte a due figure passionali, con sentimenti ed emozioni a fior di pelle. Da un lato la giovane donna di umili origini caparbiamente decisa a sfondare professionalmente e soprattutto socialmente, dall’altro il marito, modesto pianista, ossessivamente geloso dell’intraprendente e disinvolta consorte. Nulla di buono all’orizzonte e, puntualmente, viene commesso un omicidio. Ecco allora entrare in scena, dopo oltre mezz’ora di racconto, “l’inspecteur Antoine”, incaricato dell’inchiesta. Louis Jouvet inizia in sordina, in vestaglia nel suo modesto appartamento. Ravviva la sua pipa con un lembo di giornale fatto ardere dalla stufa a legna. Informato del delitto in piena notte, entra immediatamente in azione, assume le fattezze dell’ispettore duro e disincantato alla Humphrey Bogart e si impone come protagonista assoluto dell’intero film. I suoi interrogatori sono stringati, le domande che rivolge a testimoni e sospetti sono frecciate, le sue battute sono improntate ad ironia mista a sano sarcasmo nei confronti di soggetti imbarazzati e spauriti. Con aria bonaria e distaccata, stigmatizza crudelmente le gelosie, l’arrivismo, la doppiezza, la rassegnazione e la vergogna di chiunque gli capiti a tiro. Per lo spettatore è puro godimento, per i suoi bersagli un vero incubo. Come se non bastasse, l’ispettore giunge alla soluzione del caso percorrendo una strada completamente diversa da quella che sembrava indicata dall’intreccio degli eventi. Persino il lieto fine lascia l’amaro in bocca di fronte alla miseria e lo squallore che ci sono stati rivelati.
Grande regia, grande interpretazione, grande fotografia, uno svolgimento senza tempi morti e la netta sensazione di aver assistito ad un capolavoro.
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