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L'amore difficile

Regia di Alberto Bonucci, Luciano Lucignani, Sergio Sollima, Nino Manfredi vedi scheda film

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La recensione su L'amore difficile

di Mr.Klein
6 stelle

A rendere difficile l’amore molto spesso è la refrattarietà a viverlo nel modo in cui si presenta per ottenere un comportamento definitivo,o almeno un certo coraggio di affrontare la situazione amorosa senza salvacondotti.

In questo caso,sarebbe giusto scegliere un altro aggettivo e reintitolare questo prodotto medio degli anni ’60,perché più che difficile l’amore è rimandato,schivato,magari temuto o censurato,ma difficile proprio non ci sembra(poiché non ci sembra per niente amore),se non nell’unico vero gioiello dei quattro,che è assai semplice indovinare quale sia.

Non sarebbe,infatti,per nulla superiore agli innumerevoli film a episodi di quel periodo(uno dei tanti esempi di filoni della cinematografia nostrana sfruttati sino alla più totale insipienza di contenuti) se non arrivasse leggero e meditativo l’episodio che segna l’esordio alla regia,purtroppo poco praticata in seguito,di Nino Manfredi.

Per cominciare si sceglie quello che non sembra nemmeno un episodio seriamente costruito,ma una prefazione di poca sostanza ai capitoletti successivi,che nulla spiega se non,in un quadretto dai toni casuali,la propensione del maschio italico a farsi propositore di una libertà sessuale più sbadata che spensierata,ma non occasionale destinatario della medesima sbrigatività d’approccio al sesso,in cui tutto sommato si rintraccia la comodità di assolvere e scusare quella virilità italiana che cerca di evitare le trappole nascoste nella coscienza delle età; e in cui spiace  vedere ancora una volta sottoutilizzato dal nostro cinema il fascino antiretorico e malinconico di Enrico Maria Salerno.

Alla prosa di Moravia,e alla conseguente fragilità ideologica che il suo nome ribadisce,si deve il secondo episodio in cui viene riproposto il terrore di fronte alle responsabilità del solito borghese che,se non ha molto nelle proprie mani,si affanna penosamente per dimostrare di avere ancora meno,per attaccarsi all’abitudine rassicurante della propria mediocrità,in cui la partecipazione di Gassman appare come celebrazione disattenta di una personalità più proterva che incisiva.

La chiusa di questa requisitoria sul costume sessuale più che sul sentimento nel e del sesso viene affidata ad uno stiracchiato episodio con gli immancabile turisti stranieri(intellettuali,ovviamente) a contatto con l’epidermica vigorosità dell’atmosfera italiana racchiusa in una scenografia vista come teatro ideale per recuperare soprassalti erotici estirpati dalla pigrizia coniugale,canovaccio non nuovo nella prosa di Mario Soldati,come dimostrano le “Lettere da Capri”,atrocemente portato sullo schermo da Tinto Brass una ventina d’anni fa.

Diretto in modo se possibile ancora più anonimo degli altri due,nella prevedibilità degli snodi davvero pretestuosi trova il soccorso del contributo misurato e anche un po’ irrisorio della soffice maturità di Lilli Palmer,che conversa con signorile praticità con i desideri del suo personaggio, e della simpatia scontrosa di Bernard Wicki.

In un episodio che sarebbe piaciuto a Buster Keaton,a Charlie Chaplin e forse anche a René Clair,solo Nino Manfredi riesce a rendere “difficile” questo amore che si lascia smarrire per mancanza di tempo e di condivisione,e in un film fotografato abbastanza inopportunamente come un noir la solarità del suo inserto sentimentale irrompe con la grazia circospetta di un’intimità seria e sacrificabile alla realtà.

E’ vero che Manfredi ha scelto troppo generosamente sé stesso per interpretare il soldatino che non riesce a vivere in pieno la propria avventura,ma il tocco dato ai suoi gesti condizionati dalla paura di sbagliare ha il rigore della sincronizzazione emotiva con la concessione di un tempo stabilito,ulteriormente accorciato dall’invadenza sonora di un mondo che già allora non sapeva che farsene di un doveroso obbligo di tacere.

La credibilità di questo episodio sta proprio nel matrimonio tra la prosa narrativa  e il senso del racconto cinematografico,grazie al quale si distingue come una tenere successione di colori in mezzo a una serie di immagini da catalogo.

Su Nino Manfredi

Con il sostegno del dialogo quasi del tutto abolito,Manfredi si appoggia alla sobrietà di un ricamo che deve essere completato in poco tempo.

Su Sergio Sollima

Più portato verso il cinema d’azione,Sollima porta a termine il suo compito senza dare l’impressione di averci creduto anche solo un po’.

Su Luciano Lucignani

Tutta al servizio del mattatore e dell’acredine moraviana per il ceto d’appartenenza nell’episodio più triste e cupo del film, anche per via di una fotografia quasi spettrale.

Su Alberto Bonucci

Un’illustrazione paesaggistica che sembra reggersi su gambe molto fragili

Su Nino Manfredi

Il perfezionismo dell’attore e la rischiosa normalità dell’uomo riescono a non far dare troppo peso al fatto che fosse già troppo maturo per il personaggio che interpretava.

Su Vittorio Gassman

In questo caso,come in non pochi altri,la sua indiscutibile presenza parlava per lui prima che si udisse la sua voce, anche quando la svogliata imperturbabilità del suo fascino d’uomo prendeva il sopravvento sulla professionalità dell’attore.

Su Catherine Spaak

Attraente e spigolosa al punto giusto,anche se doveva ancora capire in che modo recitare e,soprattutto,perché.

Su Enrico Maria Salerno

Mai omaggiato di un ruolo cinematografico degno di lui,Enrico Maria Salerno appare oggi come il meno fortunato fra gli attori della sua generazione,come pure uno dei più resistenti all’urto del tempo grazie alla moderna insofferenza e alla particolare laconicità della sua virilità mai rassicurante.

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