Regia di Mitchell Lichtenstein vedi scheda film
Osteria numero 20 diventa un film. Tratta da una cantilena da bettola, ecco arrivare sugli schermi la storia di una ragazza dalla vulva prensile e dentata. Ah! Ah! Ah! Ma no, non è un film comico. Oddio che paura: è un horror! No, nemmeno quello. Si tratta piuttosto di un film drammatico con un paio di sequenze splatter-demenziali, diciamo così. Squilibrato, ma soprattutto privo di una vera e propria coerenza: è un manifesto femminista? No, troppo leggerino su questo piano: il femminismo non è semplice anti-maschilismo (o, se qui vuole esserlo, è davvero deprimente pensare che esistano ancora lavori tanto beceri, roba da trogloditi, nel 2007). E' un atto di denuncia verso la manipolazione genetica? Assolutamente no, inconsistente da questo punto di vista. J'accuse contro il nucleare? Ancora non ci siamo, per nulla. Peccato, perchè l'idea di base poteva essere rinnovata con un briciolo di fantasia e di voglia di sorprendere: qui tutto ciò che sorprende è la noia della storia e la maniera piatta in cui si sviluppa. Addirittura imbarazzante per la banalità e sbalorditivo (disgustosamente parlando) per l'imbecillità del finale, in cui la ragazza si vendica facendo mangiare il cazzo del fratello al suo cane, dopo averlo sputato dalla propria vagina. E poi dicono che dobbiamo prendere seriamente questo film.
Una bambina, nata in una città con centrale nucleare, ha la vulva dentata - incomprensibilmente, cresce senza nemmeno accorgersene. Diventa così una paladina della difesa della verginità; ad ogni tentato coito evira il malcapitato, compreso il fratellastro misogino, per vendetta.
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