Regia di Thomas McCarthy vedi scheda film
Un professore di economia, rimasto vedovo, finge di lavorare (nell’ambiente universitario è una cosa possibilissima) e conduce una vita solitaria, vuota e ovattata in una villa del Connecticut; andato a New York per partecipare un convegno, trova il suo appartamento occupato da una giovane coppia di immigrati clandestini (lui siriano, lei senegalese) e decide di non cacciarli. Non uso mai il termine modaiolo “buonista”, quindi non lo farò neanche in questo caso; ma certo i personaggi sono fin troppo esemplari (“puliti, educati, sembravano finti”, come nella canzone Albergo a ore), la parabola esistenziale dell’uomo spento che viene contagiato dalla vitalità altrui (non manca un casto idillio con la piacente madre del ragazzo) è banalotta, la repentina conversione dal pianoforte ai bonghi è francamente semplicistica. A una prima parte più intimista segue una seconda incentrata sulla critica alla politica migratoria americana post 11 settembre; ma anche il cittadino medio che scopre che il proprio paese si comporta in modo ignobile lo abbiamo già visto varie volte, almeno a partire da Missing. Richard Jenkins, uno di cui nessuno sarebbe in grado di ricostruire l’identikit, ha indubbiamente il fisico del ruolo. Però la sceneggiatura non lo aiuta: se io sapessi che in giro c’è un tizio che va offrendo in affitto la mia casa, cercherei di individuarlo e fermarlo; invece, a quanto pare, il professore non batte ciglio.
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