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Grizzly Park

Regia di Tom Skull vedi scheda film

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La recensione su Grizzly Park

di scapigliato
8 stelle

Di colpo s’è risvegliato l’orso assassino, e il suo bramito non concede scampo, mette i brividi e ti chiude il buco del culo. Con il film di Tom Skull siamo più dalle parti di Cabin Fever che di Non Aprite Quella Porta. L’esempio serve solo come paragone estetico e poetico, non di contenuto. Grizzly Park è un film di un’ironia feroce tanto quanto il nemmeno poi troppo grosso grizzly del titolo. Si narra di un gruppo di giovani delinquenti che per risarcire la società delle loro bravate vengono spediti a pulire un parco naturale. Nonostante le raccomandazioni del ranger Bob, in linea diretta con il ranger Smith di Yoghi, i ragazzi diventeranno le vittime preferite di un orso assassino, o meglio sarebbe dire “giustiziere”, capirete poi. Il film è davvero bello, perchè se guardato nell’ottica giusta non sbaglia un colpo. Non troverete nel film di Tom Skull atmosfere inquietanti, tensioni, brividi e raccapricci vari, ma un insolito humor nero, tanto splatter e gore e un finale a sorpresa. Va detto però che il regista sa anche dosare la suspence e creare le aspettative giuste nello spettatore. Un asso giocato subito è l’intrusione di un serial killer all’interno della combriccola. Contro ogni deduzione sarà lui la prima vittima. Da qui la storia si snoda con ritmo attraverso la banalità della giornata. Falsi indizi, come la soggettiva della moffetta che ci farebbe pensare innanzitutto ad un cucciolo di orso che si porta dietro ovviamente la madre, e tante allussioni sessuali e alla “carne” che fa sembrare questo film più uno di DeCoteau piuttosto che Grizzly Rage di Yuzna. Per esempio, il white-power boy interpretato da Randy Wayne sfoggia una fisicità omoerotica che fa riflesso in Kavan Reece nelle scene di nudo casto, e serve per incanalare sempre più il discorso sulla carne e sull’ambiguità delle relazioni umane che stanno poi alla base del film. Infatti, prima che inizi il body-count, assistiamo a gag da compagnoni, tentativi di abbordaggio, sfoggio di corpi in mutande al torrente, racconti intorno al fuoco e quant’altro. Tutto tende a scontrarsi con lo schema ad imbuto voluto da Hitchcok nel suo Gli Uccelli, visto che qui invece che centripetare si centrifuga, e tutto viene sparato lontano dal centro dell’azione e del discorso filmico, aumentando paradossalmente l’attenzione e la suspence. In seguito, dopo i primi delitti, sia del serial killer - inutile, e per questo inserito nel film - sia dell’orso che attenta ai due ragazzi fuggitivi, il grande grizzly arriva alla baita in piena notte e in pochi minuti fa uno scempio di tutti i ragazzi: li decapita, se li sbrana, li mozza in due parti e così via in un crescendo inverosimile di frattagglie e contro ogni legge narrativa, condensando tutto in brevi attimi. Altro colpo grosso: la ragazza più stupida ed irritante, che crediamo essere anche la prima a morire, in realtà è quella che campa più di tutte. Ma il regista non solo si prende gioco dello spettatore sul piano narrativo, ma lo fa anche su quello discorsivo. L’ariano maledetto strappa amore e tenerezza, facendo ben capire che la sua edesione al movimento di estrema destra è solo un rifugio; il sesso viene messo alla berlina dall’estrema bellezza degli attori  - una su tutte Zulay Henao, la chigana - che vengono letteralmente smembrati dall’orso. La frammentazione quindi della loro bellezza, della loro patente di benessere sociale è segnale di una feroce critica al mondo giovane di oggi. Tutto però viene messo in dubbio quando scopriamo che è il ranger ad aver addestrato l’orso all’attacco umano. Da qui una nuova lettura che si accora a quella generalizzata dello slasher, dove un agente repressore elimina le mele marce, quelle che rifiutano la moralità, la disciplina borghese e i dogmi della madre patria. Quindi a fine pellicola ci si domanda: sono più colpevoli i giovani nel loro vuoto benessere esteriore o è più colpevole l’anima destrorsa dello Stato castratore?

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