Regia di Steve Pink vedi scheda film
Commedia che nasce dalla presunta ossessione americana del college, o meglio la fissazione di non riuscire ad entrarci. Una sorta di inno agli ultimi della classe, l’elogio degli scartati, un’apologia dell’anarchia scolastica e dell’autogestione. Cosa fare quando Yale, Princeton, Harvard e altre università, anche quelle meno prestigiose, ti rifiutano? Costruirsi il proprio college: è quello che pensa Bartleby, ragazzotto sveglio, aiutato da alcuni amici nella stessa situazione. Prendono un edificio in disuso (ex-manicomio, ogni riferimento NON è puramente casuale), ne ripuliscono corridoi e alcune stanze, qualche mano di vernice, un’insegna nuova, un preside finto e il gioco è fatto. Se già qui la sceneggiatura è poco vendibile, la cosa peggiora quando gli iscritti decuplicano e tutti, chissà come, ci cascano (niente camere, niente professori, niente bagni, ecc.). Il film potrebbe tuttavia vivere di questo equivoco, con gli ideatori della “truffa” impegnati a depistare gli scettici e a far sì che la messinscena possa reggere, invece tutto si trasforma nel più becero dei college-movie con il campus che diventa un party 24 su 24, 7 giorni su 7 e gli alunni ben lieti di oziare. Come se questo non bastasse, ecco riaffiorare l’eterna battaglia tra freaks/geeks, da una parte, e fighetti dall’altra (che sarebbero poi un gruppo di bellocci del college adiacente “rivale”), mentre assistiamo allo spunto di partenza che si evapora lentamente. A questo punto il film non è più in alcun modo recuperabile, ma c’è ancora il tempo per un finale che definire beota è poco.
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