Regia di Eran Riklis vedi scheda film
Di Eran Riklis avevo visto un'opera precedente (La sposa siriana) e una successiva (Il responsabile delle risorse umane) a questo Il giardino di limoni. L'impressione che ho avuto dalla visione di quest'ultimo lavoro è di un film con tanti pregi e con qualche difetto. A metà tra i primi e i secondi, si può mettere una considerazione sulla coerenza del discorso cinematografico di Riklis, che è innegabile. E tuttavia questa coerenza rischia di ritorcersi contro il regista israeliano, in termini di possibile ripetitività del discorso. Il cinema di Riklis - per il poco che ne ho visto - tende a replicare sulla pellicola la struttura e le questioni che gravano sullo Stato d'Israele, a cominciare da una serie di barriere, fisiche e mentali, che da una parte possono costituire un diaframma di sicurezza, ma dall'altra sono un oggettivo ostacolo alla comprensione reciproca tra le etnie che ne popolano il territorio. Era così in La sposa siriana e così è, in misura diversa, anche in Il responsabile delle risorse umane. Per quanto riguarda, poi, Il giardino di limoni, le barriere, le muraglie, i reticolati sono proprio l'oggetto del film. Lo Stato d'Israele sta infatti costruendo la famosa muraglia che dovrebbe impedire ai terroristi arabi di infiltrarsi in territorio israeliano, mentre un tribunale decide che il frutteto della protagonista, nei pressi del quale è stata costruita la villa del nuovo ministro della difesa, debba essere completamente recintato, in vista della decisione sul suo eventuale abbattimento. Poi ci sono le barriere linguistiche, purtroppo appiattite completamente dal doppiaggio italiano, che non consente appieno di comprendere le difficoltà della protagonista a rapportarsi con i soldati, con i giudici e con gli stessi, scomodi, vicini di casa. Con questi ultimi c'è poi una ormai risalente diffidenza che inibisce ogni approccio, magari basato su una sorta di solidarietà femminile. E quando anche questo invisibile diaframma può essere lacerato, ci pensano i servizi di sicurezza a ripristinare le distanze.
Siamo nel campo del cinema di alto impegno civile, in favore della pace e della comprensione tra popoli, tema che unisce grandi personalità israeliane della cultura e in particolare della letteratura (si pensa a David Grossman e ad Amos Oz) nella critica alla politica spesso immotivatamente aggressiva dei loro governi nei confronti delle popolazioni palestinesi. Tuttavia, anche se avrà buon gioco chi vorrà dimostrare che le cronache di quel paese sono piene di casi come questo, la metafora del giardino dei limoni, che rappresenta al tempo stesso un elemento della tradizione, ma anche un fragilissimo campo di battaglia, non è un tòpos nuovissimo nel cinema di quei territori e di questi ultimi anni. Il cinema di Riklis - che vive anche grazie alla bella personalità dell'attrice Hiam Abbas - rimanda a quello di Amos Gitai, colonna portante della cinematografia israeliana, nel cui filone si inserisce più che degnamente.
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