Regia di Eran Riklis vedi scheda film
È la storia di Davide contro Golia. Solo che stavolta Davide non può lanciare sassi con la fionda, ma deve accontentarsi di qualche limone. È questo che accade a Salma Zidane (un manifesto del calciatore dall'omonimo cognome campeggia anche nella sua casa), piacente vedova palestinese di mezza età (interpretata da Hiam Abbass) che vive in Cisgiordania e che ha la sfortuna di ritrovarsi come vicino di casa il ministro dell'interno israeliano (Davory). E allora non bastano i posti di vedetta, le guardie del corpo, i militari armati h24, il filo spinato a segnare il confine tra i due vicini di casa. No: il politicante da strapazzo vuole anche fare abbattere i magnifici alberi di limone che la donna accudisce e coltiva da una vita per assicurarsi una visuale che non permetta a nessuno di avvicinarsi alla sua casa nascondendosi tra le fronde. La donna ingaggia un avvocato (Suliman) col quale nasce una simpatia e i due, dopo i vari gradi di giudizio, si appellano alla corte suprema, che non trova di meglio che la più pilatesca delle soluzioni.
Lo spunto e il tema de Il giardino di limoni sono meritevoli e ad essi si aggiungono delle riflessioni non banali sulla condizione di segregazione femminile da ambo le parti (la moglie del ministro, che è una progressista e dissente dal marito, vive come una reclusa; Salma è oggetto dei pettegolezzi più biechi da parte dei musulmani più retrivi), che mettono a nudo tanto l'arroganza maschile quanto l'arretratezza dei costumi sessuali. Peccato che la regia non riesca a esprimere più del minimo sindacale, che l'intera vicenda suoni piuttosto schematica e prevedibile e che gli attori non siano affatto all'altezza.
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