Regia di Philip G. Atwell vedi scheda film
Jack Crawford (Jason Statham) è un agente dell’FBI. Caratteristiche del personaggio: ironia zero e grilletto facile. Durante le sue azioni l’agente si fa pochi scrupoli, chi gli capito sotto tiro è un uomo morto. Jack Crawford è un vero duro. Sfortunatamente viene fatto fuori un suo collega ed amico ed allora per l’agente Crawford diventa di vitale importanza trovare chi l’abbia ucciso. E lui un’idea già ce l’ha. Il colpevole è Rogue, il solitario. Come l’ha capito? Dai bossoli trovati nella casa del suo amico ucciso, prova infallibile che ci sia di mezzo il Solitario. Se questo non bastasse la ricerca del killer senza scrupoli si intreccerà con le faide scoppiate tra la mafia cinese e quella giapponese, inevitabile trovata di sceneggiatura per aumentare a dismisura lo spargimento di sangue.
E ci si trova ancora una volta davanti alla violenza come spettacolo, intrattenimento, genere di consumo. I beni terreni (macchine soprattutto) ad abbellire inseguimenti e scontri, la musica hip-hop a creare la giusta atmosfera in cui si muovono i gangster del nostro secolo.
Il regista Atwell proviene dal mondo dei videoclip ed era dunque illegittimo aspettarsi qualcosa di più dalle sue idee di regia. L’azione viene costruita attraverso i soliti trucchi: accelerazioni dell’immagine, zoomate veloci, tagli anfetaminici del montaggio, macchina da presa traballante, schizzi di sangue a più non posso. Sembra non esistere più in un certo cinema d’azione contemporaneo (soprattutto quello di Hollywood) una costruzione delle sequenze che si basi su inquadrature stabili, nitide, comprensibili. Sembra anche scomparso un uso del montaggio che definisca veramente il ritmo, non solo assemblando a velocità supersonica le immagini, ma ricreando spazi ed ambienti e i movimenti e le traiettorie dei personaggi dentro questi ambienti. Si ha l’impressione che più sia la confusione (visiva, di raccordo tra le inquadrature, con un editing a volte sbagliato, che se ne frega della sintassi cinematografica) più si raggiunga quell’idea di action che va di moda in questo periodo. Perché poi solo di moda si tratta. E non di cinema. Quello ancora una volta è solo un pretesto per mostrare macchine e moto, ambienti lussuosi e il solito, insopportabile, spreco di denaro.
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