Regia di Raoul Ruiz vedi scheda film
Povero Klimt. Povero Schiele. E povero anche il povero Melies, che qui non c'entra, ma che è stato investito dall'esplosione della furia iconoclasta di questo film. Poveri, ci fanno una figura barbina, gli eredi dovrebbero presentare una class action. Film che sfonda i limiti dell'imbarazzante, del disarmante, del desolante, e diventa ridicolo, anzi, peggio, diventa buffo. Ma non nel senso di Dario Fo. Ruiz deve aver pensato "facciamo una gran confusione così nessuno ci capisce niente e passo per intellettuale, mal che vada genio incompreso". E' un po' come se avesse voluto correggere, modificare i quadri di Klimt. Non si fa. Non è proprio il caso. John Malkovich non è Gustav Klimt. John Malkovich è John Malkovich. Non può farne a meno. Veronica Ferres è, come il film, buffa. Improponibile, instupidita, imbruttita. La narrazione è onirica, psichedelica, lisergica, a tratti kafkiana. Cioè angosciante, ossessionante, delirante. Un delirio di stupidità. Il punto più basso si tocca nelle scene in cui è presente Nikolai Kinski, che cerca disperatamente di tenere le dita come appaiono nei dipinti di Egon Schiele. Che pena.
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