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Klimt

Regia di Raoul Ruiz vedi scheda film

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La recensione su Klimt

di Bebert
3 stelle

Questo film di Raúl Ruiz, del 2006, non è una biografia del celebre pittore e chi volesse trovare ragguagli sulla vita di Gustav Klimt, resterà certo deluso. E’ un’opera monotona e fino fastidiosa nel reiterare l’interpretazione del regista in un unico senso, senza per altro trovare sbocco. Il periodo storico è coincidente con il consolidarsi del Simbolismo, del Decadentismo e dell’Art Nouveau, ma di tutto ciò riconosciamo esclusivamente il cedimento alla riduzione dell’”arte per l’arte”, un certo estetismo che fu, appunto, solo un frammento.

 

Pare che questo film pretenzioso si adegui al principio che l’arte possieda una “vita propria” e che possa ricusare la realtà e la ragione: solo la fantasia, l’immaginazione e la creatività trovano la “bellezza”. Di fatto, le vicende narrate sono un composito di sogni e ricordi e nulla è reale, al punto che anche le scene in esterno sono false e ricostruite in studio, i personaggi possiedono una personalità inventata o imitata da pose, atteggiamenti, vezzi tramandati da radi testi e foto o esclusivamente da ciò che s’intuisce nei ritratti pittorici. Emblematica, la figura dell’allievo Egon Schiele (Nikolai Kinski), disposto costantemente come una figura ritratta, con le mani ripiegate nella posa di tanti disegni: è una scelta libera ma un poco grottesca e innaturale.

 

Ma già dimenticavo, il realismo è bandito non fa parte della bellezza, ciò che conta è la sensibilità estetica e il regista ci propone la propria, ci propone il proprio gusto. Dunque, anche seguendo questa impronta, possiamo almeno muovere ulteriori critiche: l’opera d’arte che compare spesso è una gigantografia (una fotografia) del famoso pannello decorativo per l’Università di Vienna, intitolato “Filosofia” e che fu al centro di numerosi scandali: opera straordinaria per l’innovazione stilistica e per la ricchezza di simboli, purtroppo andata distrutta in un incendio, nel Castello di Immendorf, nel 1945. I committenti non gradirono la composizione di nudi femminili e si opposero: ma ormai Klimt aveva varcato un limite e “Medicina” vinse il primo premio all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. I benpensanti, conservatori viennesi non ebbero la forza di fermare questa evoluzione della pittura.

 

Nel film la tela è in bianco e nero: dove s’è nascosto il gusto e dove la fantasia? I corpi pallidi su un fondo spento: questa la “bellezza” dell’estetismo di Ruiz, che scorda d’aver indossato i panni dell’esteta, che non vorrebbe mai una brutta riproduzione ma se mai una colorata riproduzione/reinterpretazione sul modello dei coevi lavori del pittore di cui si sta occupando. E non basta l’ostentazione della nudità per sostenere quello stile: perché di belle modelle in posa e prostitute in bordelli da ricchi ce ne sono in abbondanza; non bastano gli arredi orientali, le ricercate atmosfere degli interni. Tutto si riduce ad un erotismo moderato e semplificato, decurtato, slavato della klimtiana sensualità, dell’eleganza dei colori, di quelle decorazioni calde e luminose di lamine d’oro.

Resta infine una nota positiva: l’interpretazione di John Malkovich, che si adegua alla volontà di chi lo dirige, ma con maestria interpreta il protagonista confrontandosi con l’aspetto di Klimt e le sue espressioni, conservate nelle antiche foto (in bianco e nero…).

 

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