Regia di Raoul Ruiz vedi scheda film
Nel 1918, sul suo letto di morte, Gustav Klimt, assistito da Egon Schiele (destinato a morire a sua volta pochi mesi dopo), ripensa alla propria vita. L’inizio sembra quello di un biopic tradizionale, ma ciò che segue è del tutto diverso rispetto alle attese. Di Klimt pittore quasi non si parla: tolti i primi minuti, nei quali lo vediamo intrattenersi in discussioni artistiche (incomprensibili ai profani) al caffè con i colleghi, il resto ci presenta un erotomane geniale ma disturbato psichicamente, interpretato con il pilota automatico dal solito Malkovich luciferino. Le poche volte che si mette all’opera, sembra che lo faccia per passatempo o per fornire lo spunto a qualche trovatina futile (una corrente d’aria che soffia via la doratura di un quadro, ma quando mai?). Un film caleidoscopico, fantasmagorico, con un certo fascino visivo, ma anche freddissimo, senz’anima, gratuitamente virtuosistico: un labirinto mentale in cui si entra senza possibilità di uscita, che diventa sempre più difficile da seguire man mano che si procede e che alla fine non lascia quasi nessun ricordo.
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