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Watchmen

Regia di Zack Snyder vedi scheda film

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La recensione su Watchmen

di FilmTv Rivista
6 stelle

«Forse qualcuno sta uccidendo gli eroi in costume» si legge in Watchmen scritto da Alan Moore e disegnato superbamente da Dave Gibbons. Non è un graphic novel qualsiasi. L‘originalità e la complessità architettonica della narrazione e lo scavo inaudito nella creatura più popolare nel mondo dei comics (il supereroe) l’hanno fatto inserire da “Time“ addirittura nella lista dei migliori romanzi in lingua inglese del Novecento. Siamo negli anni 80, in un mondo ipotetico, sull’orlo della guerra nucleare, dove Nixon è al terzo mandato dopo aver vinto in Vietnam grazie soprattutto al supporto del più potente dei superesseri (Dottor Manhattan: un apollo fluorescente e malinconico che manipola la materia con il pensiero), ma dove una legge ha da qualche anno dichiarato illegale il mestiere di eroe mascherato. In questo mondo, qualcuno sta facendo fuori tutti i supereroi in pensione (chi gestisce un’officina, chi vegeta in un ospizio, chi intristisce di fronte alla Tv). Perché? Moore (lo stesso di V per Vendetta e Constantine), questo autore misterioso di Northampton che cede le sue opere al cinema solo a patto di non firmarle e di non esserne coinvolto, alla fine di un thriller che cede alla rievocazione continua della memoria come la penna di Proust, ci porta in Antartide di fronte a una resa dei conti tra eroi in costume la cui rivelazione è una lettura senza riscatto del destino della specie umana su questo pianeta. Terry Gilliam, che fu il primo a tentare di farne un film, quale Watchmen ci avrebbe dato? E questa pellicola, è all’altezza dell’opera da cui è tratta? Non quanto ci piacerebbe. Snyder non è a suo agio con attori veri e propri e con un set privo di eserciti che si massacrano ad addome pulsante e scoperto come in 300. In realtà, il suo merito è proprio quello di seguire devotamente il plot e addirittura la suddivisione in inquadrature del fumetto, ma ciò non basta a catturare l’anima inimitabile dei super caratteri: la psicosi disperata di Rorschach, il dolore inappagato di Jupiter, l’aristocratica indecifrabilità di Adrian. E soprattutto assorbe poco di quel rimpianto del passato, di quel rammarico silenzioso e ipnotico del fumetto originale in cui lo stile semplice ed energetico delle matite (tra Jack Kirby e John Buscema) riempiva improvvisamente di un sentimento maestoso immagini mute, un po’ alla Hugo Pratt: un sentimento che i film di Welles, tanto per fare un esempio, conoscono bene.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 10 del 2009

Autore: Mario Sesti

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