Regia di Tommy O'Haver vedi scheda film
Film gemello de La ragazza della porta accanto, uscito lo stesso anno. An American Crime è più aderente ai fatti reali, mentre l'altro è tratto dal libro di Jack Ketchum che, pur mantenendo inalterato il cuore della vicenda (ossia la tragedia di una ragazza di 16 anni maltrattata, picchiata e seviziata fino alla morte da chi avrebbe dovuto prendersene cura), ne ha modificato molti particolari, romanzandola. Nonostante ciò, La ragazza della porta accanto mi è piaciuto di più: trasmette una tensione che questo si sogna ed è più esplicito nel descrivere gli indicibili orrori perpetrati contro la vittima. An American Crime invece, a furia di eliminare molti particolari raccapriccianti, edulcorare l'intera storia (per esempio, Paula Baniszewski sembra pentirsi tardivamente, mentre in realtà continuò ad affiancare e spesso sostituire la madre nel torturare la povera Sylvia fino alla fine, ragion per cui la sua, dopo quella di Gertrude, risultò la condanna più pesante) ed evitare qualsiasi scena esplicita di violenza, finisce per risultare alquanto asettico e anodino. Non si riesce nemmeno a capire per quale motivo muoia esattamente Sylvia (il referto dell'autopsia fu: emorragia cerebrale complicata dallo stato di grave denutrizione e dalle CENTINAIA di ustioni che ricoprivano il corpo della ragazza)! Invece ho apprezzato il finale, delicato e poetico (quello de La ragazza della porta accanto mi è sembrato abbastanza forzato).
Questo per quanto concerne il film. Riguardo alla vicenda narrata, i maltrattamenti, le vessazioni e le torture inflitti alla sventurata Sylvia Likens da Gertrude Baniszewski, dai suoi figli e da altri adolescenti (in particolare Coy Hubbard, ragazzo di Stephanie Baniszewski, e Richard Hobbs, vicino di casa) sono già difficili da sopportare: ma quel che fa infuriare è che la tragedia fosse facilmente evitabile. Benché i Baniszewski fossero poveri e vivessero in condizioni di degrado, non abitavano sulla luna, ma nella città di Indianapolis: come abbiano potuto torturare per SETTIMANE una ragazza senza che nessuno sentisse le sue urla, o si preoccupasse della sua prolungata assenza da scuola e di cosa avvenisse in quella casa, resta inspiegabile. In effetti, ci fu una chiamata anonima alla polizia, come pure visite di un sacerdote e di un assistente sociale, ma tutti accettarono le spiegazioni e le rassicurazioni di Gertrude. Come pure non notarono nulla di strano né i genitori di Sylvia e Jenny, che fecero una visita alle figlie il 5 ottobre 1965 (3 settimane prima della morte di Sylvia), né i parenti delle ragazze (alcuni dei quali abitavano nelle vicinanze e si potevano facilmente raggiungere anche a piedi). A quella data, le correzioni, severe e per lo più immotivate, impartite da Gertrude a Jenny e soprattutto a Sylvia (sculacciate con una pagaia, ma negli anni '60 ciò non costituiva uno scandalo né in America né in Italia), avevano già lasciato il posto ai pestaggi e alle bruciature di sigaretta: che le ragazze non abbiano detto nulla ai genitori si spiega soltanto col fatto che fossero paralizzate dal terrore. Jenny in particolare, che continuava ad andare a scuola mentre Sylvia era segregata nello scantinato, non ebbe il coraggio di chiedere aiuto a nessuno: solo la morte della sorella e l'arrivo della polizia ruppero l'incantesimo, dandole la forza di sussurrare agli agenti: "Portatemi via di qui e vi racconterò tutto". Mi chiedo quanto abbiano pesato, nell'attacco di cuore che ucciderà Jenny nel 2004, a soli 54 anni, il ricordo degli orrori cui aveva assistito e il rimorso per non aver fatto di più per salvare Sylvia.
A dimostrazione che non solo la giustizia italiana è indulgente coi criminali, quasi tutti i responsabili della morte di Sylvia, all'epoca minorenni, se la cavarono con poco. Coy Hubbard, Richard Hobbs e John Baniszewski scontarono 2 anni al riformatorio: Coy entrò e uscì in continuazione di galera e morì anche lui d'infarto a 56 anni; Richard morì di cancro ai polmoni a soli 21 anni; John divenne un sacerdote e morì di diabete a 52 anni. Paula, inizialmente condannata a 20 anni, ottenne un nuovo processo e fu rilasciata nel 1972. Gertrude fu condannata all'ergastolo, ma fu liberata per buona condotta nel 1985 e morì di cancro ai polmoni 5 anni dopo.
In questa storia atroce, maturata in un contesto di ristrettezze e disagio, ma non per questo giustificabile, tutto è fuori posto, tanto che alla fine la vicenda romanzata de La ragazza della porta accanto suona più plausibile della realtà: l'incoscienza del padre di Sylvia e Jenny, che affidò le figlie a una donna che conosceva solo di vista; la noncuranza degli altri parenti; la superficialità di poliziotti, sacerdoti e assistenti sociali (anche se è facile dirlo col senno di poi); il menefreghismo dei vicini (a quei tempi era ancora vivo negli USA il mito del good neighbor) e la noia dei loro figli, per i quali Sylvia divenne un divertente zimbello da tormentare per passare il tempo. Insomma, la povera Sylvia si trovò nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Concluderò questa lunga e sentita esposizione con il dialogo riportato da un anonimo cronista tedesco dei tempi della caccia alla streghe su una sventurata accusata di satanismo e morta per le torture subite durante l'interrogatorio: "L'unico Dio di cui il mondo ha bisogno è un Dio per Anna Eve." "Cioè?" "Cioè un Dio che ripari, nell'aldilà, le ingiustizie dell'aldiquà."
Ecco, il mondo avrebbe bisogno di un Dio per Sylvia Likens.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta