Regia di Ron Howard vedi scheda film
Ricordo ancora la mia perplessità quando, ormai molti mesi fa, vidi per la prima volta i cartelloni pubblicitari di questo film collocati, peraltro con ampio risalto, negli atrii di alcune multisale della mia zona. Il mio pensiero immediato fu del tipo: "maddài, un film su un tema del genere (i due faccioni di Frost e Nixon campeggiavano in un bel bianco e nero tanto anni ''70) proiettato nelle multisale??!". Fra l'altro l'argomento mi interessava da morire: il Watergate, il giornalismo investigativo, l'impeachement di Nixon, insomma non vedevo l'ora che il film arrivasse nelle sale. Innanzitutto le mie aspettative sono state piegate ad una realtà diversa da quella che supponevo, nel senso che il film non affronta direttamente (come io immaginavo) il Watergate, anzi se lo lascia alle spalle. E neppure viene affrontato il lavoro d'indagine che portò alla condanna di Nixon: no, il film si colloca cronologicamente in un periodo successivo alla interruzione forzata del suo mandato. Il titolo italiano è piuttosto appropriato: "Il duello". In effetti tutta la seconda metà del film (o forse anche di più) ospita un lunghissimo faccia a faccia fra un Nixon parecchio "umanizzato" e vulnerabile e un Frost ambizioso e determinato. Perchè all'inizio ho accennato ad alcune mie perplessità sulla presenza del film in parecchie multisale? perchè, fermo restando che ritengo il film un capolavoro e sicuramente il migliore diretto da Ron Howard, ho qualche dubbio circa la fruizione di una pellicola così rigorosa da parte del pubblico "para-televisivo" che riempie nei weekend le multisale. Ho la sensazione che il passaparola propagherà la percezione di noia con cui molti vedranno questo film. Intendiamoci: il film racchiude una sfida verbale entusiasmante, che implica un clima di tensione molto forte durante tutta l'intervista, ma di fronte ad una simile, raffinatissima e sofisticata costruzione di un serrato confronto a due, ci sarà chi (come è capitato a me) andrà in visibilio godendo della brillante fluidità dei dialoghi, ma bisogna pur mettere in cantiere l'ipotesi di coloro che, posti di fronte ad un cinema esclusivamente di parola, reagiranno con l'insofferenza. Mi auguro dunque di sbagliarmi e che il film, a fronte di una promozione accurata, dìa gli esiti sperati. Lo ammetto, ebbene sono il solito pessimista, ma cerchiamo di essere realisti: in un panorama informativo-culturale dove i maitres à penser sono Bruno Vespa, Kakà e la tettona del Grande Fratello, beh, mi appare arduo che l'italiota medio si faccia coinvolgere ed appassionare da un film sofisticato e rigoroso come questo. Siamo negli anni ''70, Richard Nixon è ormai un ex presidente: è stato travolto dall'affare Watergate, una brutta, bruttissima storia di registrazioni e menzogne, parte della cui ampia documentazione peraltro sparì misteriosamente. Lui uscì di scena, ma uscì brontolando e senza sentirsi in dovere di porgere delle scuse al suo popolo. Di più: egli non pagò assolutamente per ciò che aveva combinato, in quanto (e questo lo si vede documentato nel film) beneficiò di una sorta di "grazia speciale". Ma a lui non bastava, lui coltivava in cuor suo il sogno di un qualcosa che lo riabilitasse agli occhi dell'America, quasi a pretendere una sorta di risarcimento per danni morali.
E qui non posso esimermi dalla considerazione che -visto come gli era andata di lusso con la grazia ricevuta- quest'uomo doveva proprio avere la faccia come il culo, non c'è che dire. E veniamo all'altro grande protagonista della vicenda, Frost. Questa singolare figura di entertainer televisivo di successo; ho detto "singolare" perchè, per quanto a me avrebbe fatto più piacere che ad inchiodare Nixon fosse stato una sorta di Lenny Bruce, anarchico ed abrasivo, invece quest'uomo appare a prima vista, come dire, "senza qualità". Si tratta di un conduttore tv, guidato dalla fame di popolarità, soldi e successo, che gira in Bentley con telefono ed ha fama di playboy. Dunque tutt'altro che un "moralizzatore". Ed è così che un giorno, vedendo in tv scorrere le immagini di Nixon, è folgorato dall'idea che quell'uomo potrebbe, in qualche modo, renderlo ricco e famoso. La parte iniziale del film è infatti tutta dedicata, nei minimi dettagli, alla meticolosa preparazione dell'intervista esclusiva che Nixon concederà (a fronte di un bel pacco di soldi) a David Frost. Entrambi i personaggi sono attorniati da staff organizzati ed efficienti che, dopo aver messo a punto le questioni "economiche", cominciano a lavorare per costruire il "grande match". Non crediate (lo dico ovviamente a chi non ha visto il film) che i riflettori siano puntati sempre e solo sui due protagonisti. Anzi, alcuni personaggi secondari sono molto azzeccati, peraltro serviti da attori eccellenti. E' il caso innanzitutto del personaggio interpretato da un ottimo Kevin Bacon, nei panni di un freddissimo, glaciale, consigliere di Nixon: Bacon offre una performance importante, mostrandoci un uomo di ferro che però alla fine vacilla e perde colpi di fronte ad una realtà per lui inconcepibile. Ma anche lo staff di Frost annovera interpreti bravissimi, fra cui non posso non segnalare un attore di cui sono da sempre un convinto fan e che anche stavolta ci regala una interpretazione finissima e coinvolgente: il grandissimo Sam Rockwell, nei panni di un giovane scrittore animato da fortissimo idealismo. Ma dove il film raggiunge il suo apice di emozione è durante le lunghe fasi dell'intervista. E qui devo sottolineare che (e lo dico da appassionato di cinema di lungo corso) stare seduti in poltrona nel buio della sala a seguire questo incontro-scontro verbale che fa scintille, è stato per me fonte smisurata di pacere. E' come seguire un match di pugilato, dove dapprima i due avversari si osservano, si annusano, poi scattano i primi colpi, poi suona il gong e ciascuno dei due si apparta al proprio angolo coi rispettivi "secondi" per sistemarsi idealmente il "paradenti". Esattamente come su un ring. Un cinema di interni, ma soprattutto di PAROLA. Un cinema di attori, un cinema raffinato dove la spettacolarità si accompagna al rigore. Ho detto "cinema di parola" avrei potuto di seguito aggiungere "di stampo teatrale", ciò confermato dal fatto che il bravo sceneggiatore Peter Morgan (suo lo script di "The Queen") è anche affermato autore di testi teatrali. E questo discorso sul "teatro" mi richiama ad un'altra riflessione. Forse è un caso, o forse no, che recenti (bellissimi!) film come "Milk", "Il dubbio", "Revolutionary Road" e -appunto- questo "Frost/Nixon" hanno in comune un impianto e una regìa decisamente "classici". Che sia una tendenza? Se lo è, che sia la benvenuta. Ma torniamo ai "match" della nostra intervista. I due attori sono fenomenali. Michael Sheen me lo ricordavo prima solo in "The Queen" dove, aiutato da una rassomiglianza eccezionale -quasi un sosia- impersonava Tony Blair. E' un attore singolare, dotato di un aspetto (come dire) non comune: ha "quella faccia un pò così" che forse richiede ruoli costruiti su misura per lui. Quanto a Frank Langella, abbiamo a che fare con un Gigante. Questo attore sublime che era passato agli onori delle cronache solo per un suo celebre "Dracula", qui viene ampiamente (e giustamente) rivalutato in tutto il suo splendore di interprete finissimo. Io poi, quando mi trovo di fronte ad interpretazioni immense come questa, cosa faccio? Cerco lo sguardo dell'attore, cerco di leggerne l'emozione attraverso i suoi occhi. Provateci anche voi. Soprattutto nelle ultime battute dell'intervista, soffermatevi ad osservare gli occhi di Langella mentre sta cadendo sotto l'affondo finale di Frost. Guardate quegli occhi che non sanno più a che santo votarsi, che paiono cercare, in alto o a lato, soccorsi o suggerimenti che non arriveranno mai, per poi inumidirsi per la reazione disperata di chi è ormai (la metafora continua) al tappeto mentre l'arbitro fa la conta finale...E ditemi voi se non è vero, come io sempre sostengo, che i grandi attori recitano anche con gli occhi. Un Nixon pieno di sfumature, quello che ci presenta Frank Langella, alcune impercettibili, altre ancora inedite. Veramente, a questo proposito, si potrebbe osservare che Howard e Morgan forse hanno leggermente ecceduto nell'umanizzare Nixon, che si commuove o che è cordiale e gentile ma resta pur sempre un uomo politico astuto e -se permettete- un pò farabutto. Impagabile la sequenza in cui Nixon, appena uscito sconfitto dal match conclusivo, si sofferma ad accarezzare un cagnolino con un'aria straniata e frastornata. Ho nominato prima i nomi salienti del cast, ma ho scordato la meravigliosa Rebecca Hall (che già mi aveva sedotto nell'ultimo Woody Allen): io affermo, qui ed ora, che la Hall è uno dei più gran pezzi di femmina mai visti sullo schermo (scusate l'espressione "diretta", ma mi è venuta dal cuore). E per concludere, una modesta riflessione personale. Ok che l'intervista risale a un paio di decenni fa, ma voi ve la immaginate un'intervista simile fatta in Italia ad un Presidente del Consiglio? E, nello specifico, ad un Presidente come quello attuale la cui storia è ricca di processi quasi tutti caduti in prescrizione? Dico, ve lo immaginate il Premier incalzato senza tregua da un Frost nostrano?? Beh, veramente qui da noi succede esattamente il contrario. Succede che esiste una trasmissione televisiva (seguitissima e con alti ascolti) in cui un compiacente conduttore di nome Bruno mette a disposizione la propria tribuna per ogni politico inquisito (e anche condannato, come accadde con l'On.Previti) affinchè possa recitare la sua arringa difensiva.
Voto: 10
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