Regia di David Lean vedi scheda film
I kolossal, si sa, hanno sempre esercitato un grande fascino sul pubblico, ma anche sui membri dell'Academy e di altri concorsi, fascino che si traduce in statuette come se piovesse, e questo film non fu da meno, dieci nomination e sette Oscar vinti, oltre ad altri ventitré riconoscimenti in tutto il mondo. I punti di forza sono molti: respiro classico, scene di massa, scenografie grandiose, musica eccezionale di Maurice Jarre, padre di Jean-Michel, senza la quale il film non avrebbe avuto lo stesso successo. In particolare, l'ambientazione è epica, molto affascinante, alcune inquadrature ricordano le fotografie di Ansel Adams, già attivo a partire dal 1927, la sensazione è che il regista voglia sottolineare l'insignificanza e l'incapacità dell'uomo di dominare gli elementi in un contesto naturale che segue proprie regole immutabili. Si possono tracciare parallelismi tra questa pellicola e il genere western, sia per la vicenda, si vedano per esempio "Un Uomo Chiamato Cavallo" e "Balla Coi Lupi", sia perché gli arabi si comportano sostanzialmente come i pellirosse e ne sfoggiano le stesse attitudini, usanze, competenze e abilità.
Capitolo a parte per le interpretazioni: Omar Sharif fornisce una prova convincente, viene candidato all'Oscar come attore non protagonista ma il premio va ad Ed Begley. Ancora più convincente risulta essere Anthony Quinn che non ottiene però riconoscimenti, probabilmente perché la sua parte è più marginale. Peter O'Toole, solamente al suo quarto film, invece lascia perplessi: invornito (come dicono in Romagna) nella prima parte, diventa uno psicopatico nella seconda, sempre con gli occhi sbarrati, come fosse in preda a sostanze illecite. Sarà stata una scelta di regia, sicuramente, ma non sembra affatto sia stata felice. Morale della favola, trascinato dall'onda travolgente del successo della pellicola, viene candidato all'Oscar come attore protagonista, ma nulla può a confronto con il Gregory Peck de "Il Buio Oltre La Siepe". Troppo english e fuori parte Alec Guinness, eccessivamente distaccato e sussiegoso.
Siamo ai titoli di coda: buon film, con più forma che sostanza.
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