Regia di Gregory Hoblit vedi scheda film
Internet, impero del voyeurismo globale. Il porno (amatoriale e non) è stato già sdoganato da un pezzo (e fino qui, niente di male). La morte, invece, si affaccia ancora timida nel mondo del web. Dopo gli orrori di Abu Ghraib però niente sembra più essere, visivamente, un tabù. La tortura è poi il modo migliore per trasformare la sofferenza e la morte in spettacolo (tra l’altro nelle sale è uscito Funny Games US).
Jennifer Marsh è un’agente dell’FBI che si occupa di cyber-crimini. Truffe in rete e immagini o materiali illegali. Le arriva una soffiata su un sito da controllare, killwithme.com. Jennifer Marsh apre la pagina. Appare un filmato in streaming di un gatto, niente di particolare. Tornata a casa, Jennifer Marsh è stesa sul letto e accarezza il suo gatto. Collegamento di idee. Accende il computer e torna su quel sito. Il gatto che era inquadrato nel pomeriggio, ora, giace morto.
Inizia la storia. Un serial killer decide di rapire le sue vittime e sottoporle a torture. Le immagini delle loro sofferenze verranno mostrate sul suo sito. Il killer però ha un’idea geniale. Più gente si connette e guarda la persona torturata più velocemente essa morirà. In questo modo chiunque sarà collegato al sito diverrà complice della morte di quella persona.
Gregory Hoblit dirige in modo sicuro ed efficace. Mantiene il ritmo serrato e adopera la macchina da presa in maniera strettamente narrativa (lievi movimenti a mostrare un ambiente o a seguire i personaggi) senza sbavature tecniche e con grande professionalità.
Gli omicidi inizieranno a susseguirsi, la ricerca del killer diverrà sempre più impellente. Al di là degli elementi thriller l’idea migliore sembra essere quella legata alla riflessione sul ruolo dello spettatore nei confronti di immagini violente. Dell’attrazione che tali immagini provocano nella mente di chi le guarda. In una società in cui la creazione di immagini ha raggiunto livelli allarmanti (si pensi a youtube) e dove il confine tra realtà e finzione diviene di giorno in giorno sempre più labile non è impossibile che tra poco tempo anche la morte e la tortura diventino programmi di intrattenimento (Croneneberg lo aveva previsto quasi venti anni fa nel suo Videodrome). In quest’ottica Nella rete del serial killer è un film che supera le barriere narrative imposte dal genere per farsi riflessione (sensata, intelligente) sui rischi di un consumo di immagini che sembra non porsi più regole o problemi morali. Tutto, oggi, può essere mostrato. Tutto può diventare immagine ed essere visto. Magari la morte di una persona che si amava, buttata lì su un sito, ripresa da qualcuno per caso. Un filmato di pochi mega, sgranato, che qualcun’altro guarderà mangiando popcorn e scherzando con gli amici. Senza il minimo scrupolo etico. Il futuro potrebbe essere proprio questo. E forse già lo è.
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