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White Material

Regia di Claire Denis vedi scheda film

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La recensione su White Material

di alan smithee
7 stelle

locandina

White Material (2008): locandina

 

Africa nera, ostinazione bianca: da una terra ben conosciuta, nella quale la regista Claire Denis ha vissuto l'infanzia in un clima di colonialismo fuori tempo massimo, ma pur sempre resistente al corso della storia e degli eventi, White material rappresenta l'espulsione della pelle bianca fuori dal Continente Nero che si ribella, imbraccia le armi in una rivolta disorganizzata e senza un vero leader, dato che uno dei capi, ferito ed errabondo (è Isaak de Bankolé, altro suo attore di riferimento dall'esordio), trova proprio rifugio nella fattoria di Maria, il suo nemico e la ragione-simbolo di tutta l'insurrezione.

L'ostinazione di Maria, piccola donna tenace con tutta una fiorente attività sulle spalle, a restare nella sua piantagione almeno solo qualche giorno in più per portare a termine la raccolta del caffè, si spinge oltre ogni limite dell'eroicità per rasentare la follia, l'ossessione, la maniacalità.

Qualcuno ha parlato di personaggi al limite che sembrano usciti da un romanzo di Joseph Conrad, ed in effetti la follia malata regna sovrana ed incontrollata, all'interno della piantagione come fuori nelle strade oggetto di agguati e rappresaglie spesso sanguinose.

Maria deve fare i conti con mille difficoltà e boicottaggi, ma pure contenere la follia di un giovane figlio (Nicolas Duvauchelle) che alterna ignavia soporifera a follia delirante, raccogliendolo nudo per la foresta; così come calmare il delirio di una malattia mentale del suocero (Michel Subor, inquietante ed onnipresente nel cinema della Denis), che vive chiuso in casa e la cui mimica facciale può ricordare senza l'utilizzo di troppa immaginazione il personaggio di Kurtz di Marlon Brando in Apocalypse Now, da Cuore di tenebra.

Dov'è il labile confine che separa l'eroismo dalla follia? Un poco eroico ma concreto ex marito di Maria (è Christhoper Lambert, in un ruolo dimesso e scientemente sottotono) tenta di dissuaderla portandola in salvo, ma le ossessioni sono calli duri e impossibili da cancellare.

Claire Denis ci ripropone, dopo l'esordio di quasi trent'anni orsono con Chocolat, un confronto tra due mondi inconciliabili che tuttavia sembrano avere bisogno uno dell'altro per sopravvivere: due civiltà troppo eterogenee, due culture inconciliabili che sopravvivono una sull'altra, ma solo per consumarsi lentamente, annientandosi a vicenda.

Come spesso accade nello stile frammentario e nella tendenza smodata ma affascinante per l'accumulo della regista, il film risulta come un vortice di elementi e situazioni che non riescono ad essere completamente focalizzati, annientandosi uno con l'altro: ma la materia esplosiva e lo stile nervoso, la presenza su tutti di un'attrice di prima grandezza come Isabelle Huppert, sempre molto a suo agio in terre esotiche, che non si risparmia ed è un vortice di energia che la vede condurre trattori, guidare moto, seguire in prima persona ogni fase più laboriosa della raccolta e pulizia-lavaggio del caffè, affrontare minacce terribili come fucili ed asce puntate alla testa, rendono il film un capitolo comunque fondamentale di una regista coraggiosa e talentuosa che non scende a compromessi né cerca soluzioni per addolcire il suo messaggio.

 

 

 

 

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