Regia di Dennis Gansel vedi scheda film
Ottimo film per la riflessione. Uno spaccato sociologico impietoso: gli individui hanno molto facilmente bisogno di sentirsi parti di masse, perché altrimenti si sentono un nessuno. E per essere un “qualcuno” assieme agli altri (dato che in autonomia non ci riescono) ecco che accettano le leggi di colui che sa organizzare quell’insieme, senza cui si sentono degli sfigati. Infatti non esiste un gruppo strutturato senza che ci sia almeno che voglia o quanto meno accetti di esserne il leader. Ma è ovvio che questo leader non fa gli interessi di tutti, se vede che può fare soprattutto i suoi interessi nel momento in cui gli altri accettano di essere i suoi sudditi, proprio per il fatto che loro non possono stare senza gruppo, e che ogni gruppo non può esistere senza un leader, e che lui è stato per loro il leader migliore del gruppo migliore che loro è stato sin lì offerto.
Il successo dà alla testa all’insegnante- leader. Questi è laido anche perché sfrutta la superiorità che inevitabilmente il suo ruolo gli dà sugli studenti: si tratta di interpretarla meglio di come fa lui, questo potere che la relazione educativa a scuola non può non imporre; e di interpretarla proprio alla luce dei bisogni educativi che rendono indispensabile l’esistenza di una scuola e la partecipazione ad essa. La compagna glielo rimprovera: “Tu hai bisogno che altri ti vedano come loro leader”, è il senso della frase che io ricordo come la più significativa del film. Il quale è valido anche perchè mostra come auspicabile il dissenso verso la nuova maggioranza creatasi, la quale pure sembrava sia democratica (quindi apparentemente inattaccabile), sia accattivante per come creava delle mode apparentemente libere, proprio perché apparentemente non indotte dall’alto: i ragazzi che criticano tale movimento valorizzano il senso critico, personale e libero, e condannano l’adesione fatta per comodità, fatta solo per il fatto di non sentirsi degli emarginati ma escludendo tutte le altre valutazioni che rendono invece problematica (e anche ingiustificata) tale adesione.
Il film tedesco ha, del tedesco, la sua semplicità e chiarezza, assieme a certe brutture ed al suo inestetismo, e soprattutto senza aggiunte inutili: senza vette interpretative, è recitato in modo adeguato, e con una sceneggiatura che, come si diceva, permette tante interpretazioni; è profonda, su un tema fondamentale come quello della dittature e (ancor qui di più, mi sembra) sulla manipolazione del facile consenso delle masse. Manipolazione che non è certo appannaggio solo delle dittature, di destra e di sinistra; la storia ha mostrato che è appannaggio soprattutto della società di massa, quindi quella capitalista controllata dai mass media dominata in modo pressoché esclusivo dai medi e soprattutto grandi capitalisti. Infatti i modi dolci della “dittatura” messa in atto sono tipici della pubblicità: poche ricette che non richiedono sforzo intellettivo, né tantomeno impegni personali: insomma la solita schifezza del consumismo (ormai stravincente da oltre quarant’anni), che suggerisce il consenso alla persona solo affinchè questa non si senta una “sfigata”, isolata, ma si senta parte di un gruppo in cui forse è più facile vincere che perdere. Ma a costo di un conformismo che, prima o poi, finisce per lacerare i veri motivi della felicità propria. Conformismo che quindi non conveniva abbracciare sin dall’inizio e almeno sin da quando ne fossero apparsi i segni problematici: se solo si fosse salvaguardato innanzitutto il senso critico in vista della felicità. Ma la strada sbagliata è stata abbracciata dalla maggioranza, come quasi sempre si è verificato nel corso della storia.
Il film è un monito a far sì che ogni individuo non voglia più essere complice né tantomeno protagonista di tali gravi errori.
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