Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film
Peppuccio Tornatore poteva, e forse voleva essere l’erede di Sergio Leone e non gliel’hanno permesso. Grande virtuoso della macchina da presa, occhio epico e nazional-popolare, ottimo quando si butta nel genere (La sconosciuta, grande film), è rimasto strozzato da un Oscar e dall’autorialismo italiota, critico e registico. Così s’è trovato senza la laica voglia alla Salvatores di dimenticare quel premio e in più nel Paese e nell’epoca sbagliata, dove gli hanno maltrattato un capolavoro (Una pura formalità) e tarpato le ali (avesse fatto lui la Leningrado di Leone). Baarìa è un C’era una volta in Sicilia che diventa un Nuovo Cinema Purgatorio, un Amarcord senza emozioni e invenzioni che non siano talentuosi sfizi o “giustificazioni” del budget monstre. Scenografia e costumi, magnifici come i visi di Scianna e Madè, sono statici monumenti a un film che non c’è, i grandi nomi del cast bruciati in pochi secondi un tributo all’emozione che scappa, a un secolo breve in cui son successe troppe cose per raccontarle tutte, anche in un sol uomo in una provincia buffa e profonda. E la teorizzazione finale del riformismo da parte del protagonista comunista, più che una presa di coscienza, sembra la metafora di una resa.
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