Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film
Vedere Baarìa come una riproposizione in chiave sicula dell'Amarcord felliniano è non solo riduttivo, ma essenzialmente sbagliato. Perchè, sebbene qualche fellinismo non manchi (una scena su tutte, il professore che lascia i ragazzini spiare dalla finestra il muratore del palazzo di fronte che amoreggia con una ragazza, purchè gli alunni stiano zitti), i toni sono completamente differenti e l'agrodolce del regista riminese è qui soppiantato nettamente da un dolceagro che certo non può dirsi altrettanto riuscito, ma neppure fallito. Baarìa è un romanzo pregno di nostalgia dell'infanzia e soprattutto dei sogni di essa, che arriva a concludere (e concludersi) sostenendo che la vita stessa è puro sogno; nonostante le due ore e quaranta circa di lunghezza, la materia è tanta e narrata con gran ritmo e in maniera talmente scorrevole da non pesare eccessivamente. Luci e colori vivissimi ci introducono in una Sicilia provinciale che è agli antipodi rispetto a quella di Ciprì e Maresco, ma con la quale condivide il medesimo gusto verista per il quadretto famigliare, l'intimo domestico ritratto nella sua più viva quotidianità; semplicemente impressionante il cast, per quanto la maggior parte dei nomi - molti dei quali siciliani doc - vengano utilizzati per una manciata di secondi o tutt'al più qualche scena (Bova, Frassica, Placido, la Sastri, Faletti, Lo Verso, Gullotta, Beppe Fiorello, la Chiatti, Ficarra & Picone...). Rimangono dubbi sul ruolo sempre sottinteso della mafia, presenza continua eppure perennemente in secondo piano, come a voler prenderne le distanze con un generico incolpare 'gli altri', sorta di fantasmi o entità invisibili; ulteriore nota perplessa va spesa sull'incessante scarrellare di Tornatore, che effettivamente alla lunga fa pure girare un po' la testa. Ma si tratta ad ogni modo di un grande affresco esistenziale che, narrando di Bagheria, ci parla dell'Italia tutta e della vita in sè, rimanendo su un registro lieve ed ironico; un percorso di crescita dotato di una tenue poesia di sottofondo che vanta moltissimi momenti riusciti, sia sul piano leggero (Ficarra che accompagna la donna cieca a votare, salvo scoprire che è soltanto 'orba') che su quello drammatico. 7/10.
La vita di Peppino, bambino di Bagheria (Palermo) negli anni '30, adolescente irrequieto e militante a sinistra, da adulto politico locale fino all'elezione alla Camera, sposo di una ragazza alla cui famiglia Peppino non piace e padre infine di ben cinque figli.
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