Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film
La storia di Bagheria, raccontata attraverso la vita di Peppino Torrenuova, è una successione di momenti, che si passano il testimone di una rabbia amara, che a tratti si sfoga in una goffa ribellione, a tratti digrada in una lirica rassegnazione, ma è sempre spruzzata di passione, fantasia e calore umano. La regia di Tornatore dilata le suggestioni degli istanti, trasformando le scene in atti teatrali ed i protagonisti in maschere, a metà strada tra l'icona e la caricatura. L'ambiente è come un fondale dipinto, che sembra finto anche se non lo è, perché ha l'incerta luminosità di un miraggio, che a volte è un sogno incantevole, altre volte invece spaventa e si spera che non sia vero. Cullarsi in questa ipnosi vigile, in questa illusione cosciente è come l'ebbrezza di poter pilotare i propri voli onirici, accendendo, a comando, i fari delle sensazioni che ci sono più care. Questo film è un kolossal, pittoresco e sanguigno, della nostalgia, in cui la coralità è la storia tradotta in emozione collettiva che, come, l'affresco di una battaglia, diventa una scenografia preziosa e memorabile. La spettacolarità delle riprese panoramiche e dei giochi prospettici è la deliziosa vertigine con cui la mente si lascia risucchiare dal ricordo. Le memorie d'infanzia sono come gli occhi di un bambino sgranati sulla realtà, con l'effetto deformante di un mondo grande e incomprensibile visto dal basso, attraverso la fragilità dell'innocenza.
Questa antologia di suggestioni alla Tornatore può sembrare rigida ed artificiosa, ma solo perché volutamente esibisce la cadenza impomatata della citazione, unita ai colori sgargianti ed alle mostruose presenze delle fiabe. E' vero che le vicende narrate in "Baarìa" appartengono solo all'autore e alla sua terra; però è universale il linguaggio con cui egli ci fa capire che quel tesoro di immagini ed affetti è autenticamente, fantasticamente e profondamente suo.
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